Sempre nuovi schiavi nel terzo millennio dal Mediterraneo in là

Moderne forme di sfruttamento al Festival di Gorizia inaugurato da un dialogo tra Odifreddi e Longo
Di Pietro Spirito

di PIETRO SPIRITO

inviato a GORIZIA

Come racconta il film “Amistad” di Spielberg, in piena tratta degli schiavi non era infrequente il caso in cui, per scarsità di cibo, o malattie, o altre ragioni, schiavi legati insieme venissero gettati vivi in mare dalle navi dei trafficanti di esseri umani durante le traversate oceaniche. Un’immagine che rimanda alle tragedie dei nostri giorni, quando scafisti senza scrupoli buttano in mare o abbandonano al loro destino migranti disperati in fuga da guerre e miseria. È un’analogia emersa qua e là sin dai primi incontri dell’edizione 2016 di èStoria, il Festival di Gorizia -inaugurato ieri con una conversazione fra Giuseppe O. Longo e Piergiorgio Odifreddi - dedicato quest’anno appunto al tema degli “Schiavi”. Argomento anche questo, come quello delle precedenti edizioni, di vasta e articolata declinazione, a cominciare dal significato stesso di “schiavo”, soggetto nel tempo a variazioni e interpretazioni tutt’altro che scontate, soprattutto quando dai tempi più antichi ci si avvicina ai nostri giorni.

Se ne è parlato in uno degli incontri di apertura della manifestazione goriziana, che come ogni anno chiama a raccolta il fior fiore degli storici: David Abulafia, docente dell’Università di Cambridge e uno dei massimi esperti di storia del Mediterraneo, Salvatore Bono dell’università di Perugia e Jeff Fynn Paul - questi ultimi entrambi grandi studiosi di storia della schiavitù - hanno focalizzato l’attenzione sul Mediterraneo, mare teatro dei mutamenti, scontri e incontri che hanno segnato la storia di una larga fetta di mondo, dall’Europa al Medio Oriente. Un mare la cui storia può essere suddivisa in cinque grandi capitoli, ha sottolineato Abulafia, dalla caduta di Troia fino all’apertura, nel 1869, del canale di Suez, che ha trasformato il “mare nostrum” in una zona di transito per l’oceano Indiano. In mezzo, un processo di reiterate integrazioni e disintegrazioni di un’unica area commerciale e culturale, in cui la schiavitù ha fatto da veicolo alla mescolanza di lingue, culture e religioni. E se rimane controverso oggetto di studio e interpretazione il fatto che l’Europa occidentale, a partire dal XII secolo, diventò una società perlopiù libera dallo schiavismo, come ha sostenuto Fynn Paul, è pur vero che, ha dimostrato Bono, tra il 1500 e il 1800 vissero in Europa oltre due milioni di schiavi di varia provenienza, mentre nell’intero mondo mediterraneo, per lo stesso periodo, gli schiavi furono più di sette milioni.

E oggi? Se è sempre azzardato tentare paralleli fra presente e passato, è pur vero che uno sguardo prospettico sugli eventi della Storia può aiutare, come ha detto Fynn Paul, a «far luce sulla schiavitù contemporanea, sui fenomeni migratori e sul traffico di esseri umani che oggi tornano a far notizia su scala globale». Fenomeni altrettanto complessi e mutevoli, che da un’analisi sull’età moderna e la globalizzazione della schiavitù, come quella tentata dall’esperto di tratte negriere Olivier Pétré-Grenouilleau assieme a Massimo Livi Bacci, arriva a focalizzare il problema intorno alla questione dello sfruttamento economico e del lavoro. Se ne è parlato nell’incontro con Fabio Corigliano, Massimiliano Nicoli e Gabriella Valera, che hanno analizzato le attuali relazioni di «potere e reciprocità di valori» nel mondo del lavoro, dove a crisi e disoccupazione si accompagnano erosione dei diritti e nuove forme di sfruttamento a danno soprattutto dei giovani. E ne ha parlato, in un confronto con Marco Pacini, il giornalista Giampaolo Cadalanu nel corso dell’incontro dedicato agli “Schiavi del terzo millennio”, vale a dire quegli operai - cinesi, indiani, nepalesi - impiegati in multinazionali come la Foxconn di Taiwan, la più grande produttrice di componenti elettrici ed elettronici per aziende sparse in tutto il mondo quali Apple, Microsoft, Motorola, Nokia, e nei cantieri degli stadi per i campionati del mondo 2022 in Qatar.

«Qui - ha detto Cadalanu - i lavoratori operano in condizioni disumane, i casi di suicidio sono all’ordine del giorno, e se è vero che si tratta di schiavitù non formali, ma “di fatto”, è quanto mai opportuna una riflessione da parte di noi occidentali su quanto diamo per scontato che la schiavitù sia un fenomeno da società arcaiche, mentre al contrario è proprio nelle società tecnologicamente più avanzate che si stanno affermando nuove forme di asservimento».

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