Sergey Korolev, il genio delle astronavi torturato alla Lubjanka e poi riabilitato

la storia
Il Costruttore capo non poteva dormire, quella notte di sessant’anni fa. Era sua la responsabilità di aver fatto la scelta finale degli uomini per la grande impresa, usciti da una durissima selezione. In silenzio, si avviò lungo la camerata dell’edificio annesso alla base di Baikonur e socchiuse la porta della stanza in cui Yuri Gagarin e German Titov sembravano dormire profondamente nei loro letti da collegiali. Due giorni prima aveva designato Yuri per il primo volo. Gli sembrava che potesse meglio impersonare lo straordinario ruolo che la storia stava per affidargli: il primo uomo nello spazio. A German, fisicamente più resistente, aveva detto che a lui sarebbe toccato il secondo volo, di lì a qualche mese: non un’orbita sola ma un giorno intero intorno alla Terra. Sapeva che c’era rimasto male: chi ricorda il secondo arrivato?
Alle 5.30 la sveglia. Yuri e German fanno colazione con quei tubetti da dentifricio in cui c’è patè di carne e gelatina di ribes nero. Oltre a un po’ di caffè. Una breve corsa all’aperto, nel gelo del mattino, qualche esercizio fisico, la doccia, l’ultimo controllo medico e infine il rito della vestizione con quell’ingombrante tuta arancione – scelta perché visibilissima nel caso la Vostok atterrasse in una regione innevata. A Yuri vien data anche una pistola da usare contro i lupi, non si sa mai. Yuri e German salgono a bordo del pulman assieme ai colleghi che andranno nello spazio dopo di loro, intabarrati nei pesanti cappotti militari: Volynov, Nikolaev, Popovich, Komarov. Ridono e scherzano per sdrammatizzare il momento. A un certo punto Yuri chiede al conducente di fermarsi, scende dal pullman e fa la pipì contro la ruota posteriore. Diventerà un rito apotropaico che da allora ripetono tutti gli astronauti – russi, americani, europei – che partono per lo spazio da Baikonur. Arrivati sotto la rampa, il Costruttore capo scambia l’ultimo saluto con Yuri, lo guarda salire la scala metallica fino all’ascensore che lo condurrà in cima al razzo, a 40 metri d’altezza. Per lui è quasi un figlio, come lo sono gli altri cosmonauti destinati a portare nello spazio i suoi sogni giovanili.
II Costruttore capo (Glavnyi Konstruktor) si chiama Sergey Korolev. Ma quel nome è un segreto. Al tempo di Gagarin ha 55 anni ed è al vertice del programma spaziale sovietico. Ma ha dietro le spalle una storia drammatica. Proprio quando aveva cominciato a occuparsi di propulsione a razzo, nel 1938 era caduto nella rete della polizia segreta con l’accusa di boicottare quelle attività di rilevanza strategica. Alla Lubjanka fu costretto sotto tortura a confessare colpe inesistenti. Viene condannato a dieci anni di lavori forzati nelle miniere d’oro del gulag di Kolyma, in Siberia, tristemente famoso.
Trasferito a Mosca in un centro di detenzione per scienziati e tecnici dove può continuare il suo lavoro di progettista, verrà infine rilasciato nel 1944 e poi riabilitato. Con il grado di colonnello dell’Armata Rossa, viene inviato in Germania, a Peenemünde, per raccogliere materiale sulle V2 del Terzo Reich. E l’anno dopo costruisce e lancia il primo missile balistico intercontinentale, capace di raggiungere il territorio americano. È l’inizio di una geniale creatività. Suoi sono i progetti dei primi Sputnik, delle Vostok e delle Voshkod per i primi cosmonauti, delle sonde che raggiungono la Luna, Venere e Marte. Disegna il lanciatore N1, ancora più potente del Saturno americano, per portare l’uomo sulla Luna. Ma nel gennaio del 1966 viene operato per un banale polipo intestinale. Ha un’emorragia interna, non riesce a respirare. Bisognerebbe intubarlo, ma l’intervento è impossibile a causa delle fratture alla mandibola subìte alla Lubjanka. Quando muore, i sogni lunari di Mosca muoiono con lui. E il mondo conoscerà finalmente il suo nome. —
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