Si accedono le luci, ecco il Festival Riondino rompe subito gli schemi

VENEZIA
Niente padrino; molto meglio il pur contraddittorio “madrino”, e ancor meglio “cerimoniere”, cioè colui che, in smoking di Dior, dirigerà questa sera nella Sala Grande del Palazzo del Cinema l’attimo più celebrativo del festival. Michele Riondino sbarca al Lido accompagnato dalla fidanzata Eva Nestori; dopo Alessandro Borghi, che lo scorso anno inaugurò la nuova tendenza e che da buon amico qualche consiglio glielo ha dato, è il secondo uomo nel ruolo di cerimoniere. Cosa che gli piace, perché rompe gli schemi.
Trentanove anni, diciannove film, il ruolo di giovane Montalbano che lo ha fatto amare al grande pubblico, un David di Donatello, attualmente è diviso tra le prove di “Il maestro e Margherita”, l’impegno per Taranto, dalla parte dei lavoratori dell’Ilva («Difendo la mia città. È diverso per un tarantino dire: guarda, ci stanno gasando tutti»), e la gioia di essere qui e ora, a un passo dal red carpet, sul quale si farà chiamare “madrino”, perché è «contro gli stereotipi». Dove spera, lo dice chiaramente, di non incontrare il ministro Salvini: lo eviterebbe «perché non mi rappresenta», anche se ha votato 5 Stelle. «Non direi mai nulla davanti alle telecamere. Piuttosto lo eviterei. Questo ministro degli Interni non mi rappresenta – dice – e non rappresenta gran parte degli italiani. Lo dico da persona che ha scelto i 5 Stelle, ma se avessi saputo dell’accordo con la Lega non li avrei mai votati. Ce la stanno mettendo tutta per farci perdere quel briciolo di speranza rimasto».
Si dice sorpreso di essere stato scelto per il ruolo: «Non pensavo che la Biennale si affidasse per il secondo anno a un uomo; invece è stato rotto di nuovo uno schema prestabilito. È pur vero che, così facendo, è stato tolto un ruolo alle donne». Questione spinosa, da affrontare proprio mentre si parla della scarsa presenza delle donne al Festival: «È un argomento importante. Nel momento in cui si presenta solo il 20 per cento di registe, è evidente che non è un problema di chi seleziona i film a Venezia. Sarebbe molto triste per le donne essere chiamate solo perché mancano film di donne; per questo sono contrario alle quote rosa, perché ritengo che sviliscano il genere femminile. Il problema, semmai, è l’accesso a un certo genere di mestiere. Nel cinema, ad esempio, ci sono settori quasi esclusivamente maschili come il direttore della fotografia o gli operatori macchina».
Nel suo discorso alla cerimonia di apertura, dice che parlerà del suo lavoro e della necessità di affrontare la realtà.
Per lui, Venezia è un ritorno: «Amo questa città. Ho imparato ad amarla non come turista, ma quando ho girato “Dieci inverni” di Valerio Mieli. L’ho vissuta con il freddo, la nebbia. Era stupenda. Prima l’avevo vista da studente, poi l’ho conosciuta meglio al Festival, quando stavo in fila per entrare alle proiezioni. Ecco, credo che l’emozione più grande sia quella di stare in fila e ascoltare i commenti della gente. Posso dire di essere cresciuto come attore con il Festival. Per questo lo sento un po’ mio, e dunque credo di poterlo difendere e rappresentare».
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