“Socrate il sopravvissuto” alla strage del tempo

Solo domani al Rossetti una storia dei nostri giorni ispirata al massacro di Columbine
Roberto Canziani

TRIESTE. Estate 2001. Lo studente di liceo Vitaliano Caccia si presenta davanti ai commissari dell’esame di maturità. Estrae la pistola e a sangue freddo li fa fuori tutti. Tranne uno. Risparmia soltanto il suo professore di storia e filosofia. Quello a cui resta il compito di interrogarsi sui perché di un gesto di cui comincia via via a sentirsi inavvertito, colpevole, ispiratore.

Il romanzo di Antonio Scurati “Il sopravvissuto” - la sua affilata discesa nel mistero di chi a vent’ anni lucidamente spara - è uno dei punti da cui partire per arrivare a “Socrate il sopravvissuto”. Lo spettacolo, che fin dalla scorsa estate è stato indicato fra i più interessanti risultati della ricerca teatrale in Italia, va in scena domani sera (unica data, ore 20.30) al Rossetti (e da oggi sono in prevendita i biglietti per “Utoya”, “La fabbrica” dei preti” “Tropicana” e “Cassandra”).

Non la ricostruzione di un fatto di cronaca (il “movente” del romanzo di Scurati era la strage nella scuola americana di Columbine, 1999), ma una creazione di forte impatto teatrale. Il lavoro di otto giovanissimi interpreti (studenti anche loro), un impeccabile disegno dell’architettura drammatica, il passaggio di testimone tra la scena e il video, uniti alla riflessione sull’adolescenza e suoi valori, sul progetto educativo che oggi la sostiene, si intrecciano con ciò che ancora oggi ricordiamo di Socrate, l’altro filosofo, quello che quasi 2500 anni fa bevve la cicuta, condannato a morte dalla città. Uno spettacolo sullo “spirito del tempo”. A questo “Socrate”, la compagnia Anagoor che l’ha ideato, giunge dopo altri bei titoli realizzati negli ultimi anni. Dal più recente “Virgilio brucia” (tra Eneide e un romanzo di Hermann Broch) su su fino a “Tempesta”, creazione sul genio pittorico di Giorgione, con la quale, nel 2009 al Premio Scenario, è cominciata la storia teatrale di questi artisti, allora giovanissimi, cresciuti all’ombra di un liceo di Castelfranco Veneto. E che hanno scelto di chiamarsi Anagoor come il nome di una città in un racconto di Buzzati.

«Una presa dal basso, queste nostre scelte – spiega il regista Simone Derai – per trattare la letteratura, la filosofia, la storia dell’arte, con una agilità e una velocità del tutto opposte alla maniera con cui i programmi scolastici le formalizzano e ce le servono». Una rivisitazione critica dell’antico, dunque? “Noi non crediamo – prosegue - nell’attualizzazione dei classici, come è abituato a fare molto teatro di regia. Sappiamo però che uno sguardo contemporaneo, posato oggi sull’antichità, ne rivela sempre qualche aspetto inesplorato».

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