Tante emozioni nella “Luce coatta” di Paul Celan

Marina Corona è nata a Milano nel 1949. È poetessa e narratrice, oltre che un’attiva operatrice culturale. Ha scritto tre romanzi e varie raccolte di poesia. Tra le sue pubblicazioni, edite da Scheiwiller e Jaca Book, le sillogi “L’ora chiara” e “I raccoglitori di luce”. Ha vinto il Premio Internazionale Eugenio Montale e Il Premio Gozzano. I suoi testi sono stati tradotti in spagnolo e in inglese. La sua ultima raccolta, “Un destino innocente” (Editore Stampa 2009) è uscita nel 2018. Si tratta di una scrittura in versi che procede con diversi toni, spesso in contraddizione, riuscendo ad alimentare un climax ambiguo. Il pregio di Corona infatti è proprio una dimensione di paradosso tra una poesia che si nutre di citazioni classiche, Eschilo in primis, e sensazioni favolistiche a cui si aggiunge un dettato frontale e “sinistro”. Motivo per cui la poetessa milanese risulta sempre in equilibrio, restituendoci una voce priva di enfasi o retorica.

Il suo consiglio: «Alla fine, tra tanti titoli, ho scelto lui: il molto amato, il teneramente considerato anche se non certo il più grande. Tuttavia geniale, fragile, ipersensibile, coraggiosissimo: parlo di “Luce coatta” di Paul Celan. Avevo circa quaranta anni quando mi imbattei nella traduzione che Giuseppe Bevilacqua ha fatto di molte liriche di Celan, e veramente, leggendo il volume, un fascio di luce vibrante mi colpì come una scossa che si ripeteva ad ogni poesia. Due elementi mi sembravano sostenersi a vicenda come archi di una struttura aerea: il mondo profondo dello scrittore: tragico, impulsivo, avido di vita, consonante, suono per suono, con le proprie emozioni e il mondo rappresentato della natura e degli oggetti della terra con il loro fragore estetico e il loro silenzio metafisico. Io da poco mi dedicavo seriamente allo studio della poesia e ho sentito nel cosmo-caos che queste due falcate realizzavano un potente appello che mi trascinava alla scrittura. Di questo sarò grata per sempre».

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