Tom ritorna da Valeria, primo amore

Il ristorante di Opicina rilevato da Oberdan: menù espresso, triestinità e modernità
Di Furio Baldassi

Ci vuole del coraggio, un gran coraggio. Perchè rilevare un posto sperduto sul Carso, praticamente a ridosso del confine di Pese, trasformarlo in pochi anni nell’indiscutibile luogo dell’eccellenza dell’altipiano, Bak, per poi mollarlo all’improvviso e lanciarsi in una nuova avventura in un posto chiuso da anni è impresa che richiede determinazione e una buona dose di incoscienza.

Ma Tom Oberdan, per certi versi e al di là dell’età ancora giovane, è uno degli ultimi romantici. Quando ha visto che era disponibile, a un prezzo relativamente conveniente, il luogo dove aveva mosso i primi passi come cuoco, non ha avuto esitazioni.

Benvenuti, dunque, nel nuovo “Valeria” di Opicina. Il posto, ovviamente, è sempre là, non può muoversi. Ma la qualità, l’approccio, la ricerca dei piccoli particolari, non sono gli stessi. Sono migliorati. Non a caso Tom ammette di essersi portato dietro, praticamente in massa, il portafoglio clienti della sua ultima esperienza.

Il posto? Rinnovato, gradevole, con predominanza di colori bianchi, strutture di legno, opere di Girolamo Caramori che sembrano dar vita al pensiero del più grande estimatore di Spacal... Tom non ha voluto esagerare. Menù minimale, come si impone nei locali che ti fanno i piatti espresso (e, giustamente, te li fanno aspettare...), quel mix, tanto apprezzato, tra la cucina tradizionale del Carso e quella modernista che, avvalendosi delle straordinarie materie prime su cui possiamo contare tra Opicina e Sistiana, può realmente inventare qualcosa.

In un pranzo medio, che viaggia attorno ai 30 euro, vi può dunque capitare di aprire la sessione col primo “Prosecco Trieste” di Andrej Bole, straordinario, lanciarsi sul gustoso prosciutto cotto di Mangaliza (Ungheria) alla triestina, le cipolline al balsamico, melograno e finocchio. E poi dedicarsi ai bocconcini con porro e speck e salsa di formaggio jamar. E al caso lanciarsi sui bleki con ragù di gallina o la pasta al pollice alla coda di bue alla carsolina, sorta di malloreddus de noantri. E ancora: il cappel di prete di vitello cotto a bassa temperatura, il pollo impanato con salsa tartara, l’arrivo di un Cabernet Sauvignon di Boris e Allen Lisjak da leccarsi i baffi e di un finale Dolce Rocher con caramello... Vini del territorio e non suggellano alla fine un’esperienza sensoriale da non perdere.

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