Torna l’Atlante occidentale Così Del Giudice portò la scienza nel romanzo

la recensione
FEDERICA MANZON
A distanza di più di trent’anni Einaudi ripubblica uno dei romanzi cardine della narrativa italiana contemporanea. Torna oggi in libreria “Atlante occidentale” di Daniele Del Giudice (pagg.236, euro 20), in una nuova edizione con prefazione del fisico Guido Tonelli e un’appendice a cura di Enzo Rammairone con la pubblicazione del “Taccuino di Ginevra”, il diario dei sei giorni che lo scrittore trascorse al Cern di Ginevra immergendosi in quello che sarebbe diventato il mondo del suo secondo romanzo.
Per capire il senso di questa nuova edizione è bene ricordarsi cosa significò l’apparizione di Daniele Del Giudice nell’orizzonte della narrativa italiana degli anni Ottanta. Erano anni in cui nuovi scrittori nascevano un po’in ordine sparso, senza riconoscersi in nessuna corrente e spesso lavorando in modo autonomo. Aprì il decennio il “Nome della rosa”, romanzo non classificabile in nessun genere, scritto da un professore non classificabile in nessuna categoria accademica. Nello stesso anno Tondelli pubblicò “Altri libertini”, rivoluzionando lo stile e dando una scossa alla pubblica morale. Di pochi anni dopo, l’esordio di Aldo Busi “Seminario sulla gioventù”, non meno scandaloso e innovativo. Poi nel 1983 uscì “Lo stadio di Wimbledon”, il primo romanzo di Daniele Del Giudice, e andò in tutt’altra direzione. Italo Calvino lo tenne a battesimo come un romanzo che mostrava “un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto”. Un nuovo modo di guardare alle cose dove la vista era un organo privilegiato e la scrittura un obiettivo luminosissimo in grado di mettere a fuoco il punto più limpido della realtà, per provare a rispondere all’eterna domanda: in che rapporto stanno la realtà e la sua rappresentazione? È davvero possibile rappresentare le persone e le cose sulla pagina?
Ecco già in controluce l’interesse di Del Giudice per il mondo delle cose nella loro concretezza che lo porta, pochi anni dopo, a interessarsi all’universo della scienza. È tra i primi a intuire che scienziati e umanisti maneggiano una materia simile: immaginazione e regole, visionarietà e attenzione. A interessarlo sono i cambiamenti tecnici e scientifici che mostrano il nocciolo di quelli che saranno i cambiamenti antropologici e sociali a venire. Del Giudice possedeva già nel 1984 tutti i mezzi per partire in esplorazione del mondo della fisica quantistica: la sua scrittura era una lente ad altissima risoluzione, conosceva il linguaggio della meccanica e aveva una fascinazione per la tecnica (gli aeroplani, la fisica del volo, la luce dell’Antartide…). Come il Nick Shay protagonista del capolavoro di De Lillo, sapeva che la cosa più importante è sapere dare un nome esatto alle cose.
Da qui ha inizio la scrittura di “Atlante occidentale”. Un libro diverso dal precedente. La partenza non è facile, d’altra parte: «Non sono balle, scrivere è difficile. Per tutti» confesserà molti anni dopo.
La nuova edizione del romanzo ha un’appendice che rivela questo percorso di fatica, ma anche di curiosità e di improvvise illuminazioni. Il “Taccuino di Ginevra” è la testimonianza di un ponte tra il primo libro ormai alle spalle e il secondo ancora da pensare, è un libro tra i libri. La traccia di questa continuità è tutta nell’inizio. “Lo stadio di Wimbledon” cominciava con un viaggio: l’arrivo in treno a Trieste, i vagoni fermi per un guasto tra le rocce e il mare, in pieno paesaggio, la conversazione tecnica tra i macchinisti, il pezzo di strada a piedi verso la città di confine. Anche il “Taccuino” si apre con un viaggio in treno, il paesaggio che cambia, uguali luoghi di confine, le chiacchiere dei doganieri. È sempre dall’attraversamento di un luogo che prendono l’aria i romanzi di Del Giudice, spostamenti che precedono incontri che preparano personaggi.
Ma questo taccuino, dicevamo, è già un libro. D’altra parte che grande scrittore scrive un diario davvero privato? Del Giudice poi, più di altri, fa della riflessione intima sulla scrittura il motore dei suoi romanzi: il dietro le quinte è una quinta di massima importanza. Non a caso aveva esordito scrivendo attorno al personaggio di Bobi Bazlen… Ma torniamo al taccuino che è un libro. Ci sono delle spie a testimoniarlo. Prima di tutto la stesura, sempre qualche giorno dopo gli eventi. Lo stile è accurato e le immagini esatte. Un esempio: i ragazzi che ordinano i cavi sul pavimento di un laboratorio del Cern si rivolgono a lui “con quell’aria che avevano una volta gli insegnanti di un corso estivo della Montessori”. Dell’incontro con Rubbia, annota le parole dello scienziato quando gli fa dono del suo romanzo d’esordio: «Grazie per il librino». Nessuna aggiunta, il sentimento è tutto nella registrazione del fatto. Perché questa ripubblicazione è oggi un evento così importante? Perché Del Giudice, con grande anticipo aveva capito che la scienza, la fisica, è parte integrante del sapere umano, che scienziati e scrittori sono ugualmente esploratori della natura umana, e che la cultura scientifica è inseparabile da quella umanistica. Leggere oggi “Atlante occidentale” ci ricorda che non bastano le mappe per vivere in questo mondo frammentato, ma sono gli atlanti a darci il senso della nostra cultura e, a volte, della nostra esistenza. —
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