Tra “Scimmie” e fratelli in guerra riecco la famiglia ferita di Susan Minot

Una nuova traduzione (Playground) del libro più celebre della scrittrice americana, che ha scatenato una bufera



Quando si parla di letteratura minimalista, i primi autori che vengono in mente sono Raymond Carver e Richard Ford, ma minimalista lo era anche Ernest Hemingway. Questo stile prettamente transatlantico appartiene soprattutto agli anni '80, a scrittori come Jay McInerney e Bret Easton Ellis. Nel 1986 uscì anche un piccolo libro a firma di Susan Minot, che all'epoca aveva 29 anni: “Monkeys”, che è forse la summa della tradizione del nuovo minimalismo americano. Cosa caratterizza questo stile che predilige spesso la forma della short story? In primis un setting familiare, un marito, una moglie, dei figli, storie che descrivono la mostruosa banalità del quotidiano: bollette da pagare, problemi di ménage precari. Eppure l'essenzialità degli scambi di battute, la scarsità di aggettivi, avverbi e descrizioni, a favore di un gelido sguardo sugli oggetti che arredano una cucina o uno squallido tinello, fanno di questi romanzi delle bombe emozionali.

La casa editrice Playground ha ora deciso di riproporre il capolavoro di Susan Minot, “Scimmie” (traduzione di Bernardo Anselmi, pp. 175, euro 15). Classe 1956 la Minot è autrice di altri cinque libri e ha firmato le sceneggiature per “Io ballo da sola” di Bernardo Bertolucci e di “Evening” di Michael Cunningham. “Scimmie”, la sua opera prima premiata col Prix Femina nel 1987, è strutturato in nove capitoli che potrebbero essere anche racconti autonomi e che descrivono la vita della famiglia Vincent tra il febbraio del 1966 e il maggio del 1978. L'impianto è palesemente autobiografico e ripercorre anni cruciali in cui s'era manifestato l'alcolismo del padre dell'autrice e in cui era avvenuto l'incidente d'auto in cui la madre dei sette piccoli Minot aveva perso la vita.

L'ambientazione è una grande casa alto-borghese nel New England e le residenze sul mare dei nonni dove i Minot passano le vacanze. Dodici anni di apparente normalità domestica che nascondono invece drammi d'una famiglia disfunzionale e profondamente ferita. Se nei racconti della Minot sembra che i fratelli vogliano fare fronte comune per difendersi dal minaccioso mondo degli adulti, nella vita hanno invece finito per schierarsi l'uno contro l'altro scrivendo libri che offrono opposte visioni del loro passato.

A “Monkeys” di Susan Minot, è seguito nel 1999 il memoir della sorella Eliza “The Tiny One”, mentre George, il fratello maggiore, nel 2004 ha pubblicato il giallo “The Blue Bowl” in cui il padre viene ucciso in circostanze misteriose da uno dei figli facilmente riconoscibile in Samuel Minot. Per dissipare i dubbi, Sam ha pubblicato nel 2011 la sua personale visione della storia familiare: “Strange Poverty of the Rich”. Gli altri Minot sono Carrie, autrice di un romanzo non pubblicato, Dinah, produttrice a Hollywood e Christopher che fa l'artista in Massachusetts.

I contrasti sulla rappresentazione finzionale dell'infanzia dei sette fratelli che la Minot aveva tracciato in “Scimmie” erano iniziati subito dopo la pubblicazione del libro, la sorella Eliza aveva trovato che fosse offensivo nei confronti del padre alcolizzato (un banchiere di Boston, morto di cancro nel 1999) e il fratello George riteneva che non avesse descritto a sufficienza il suo difficile rapporto col padre e il fratello Sam. Di contro, Sam aveva letto ogni pagina dei libri dei suoi fratelli come un insulto personale: troppi non detti, problemi di soldi, donazioni, eredità e molto altro ancora... Insomma la vera storia della famiglia Minot è ancora tutta da raccontare ed è probabilmente molto più terribile di quanto traspare dai racconti di Susan, che preferisce definire la sua famiglia “una casa di specchi” in cui tutti, scopertisi scrittori, si ritrovano ad attingere a un unico capitale: i ricordi della loro infanzia, da cannibalizzare a piacere. —

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