Sogni, paure, visioni: il Trieste Science+Fiction festeggia 25 anni e racconta noi stessi
Il festival può permettersi una bella varietà di storie, dalle questioni classiche della fantascienza ai nuovi scenari

Il nostro non è più un pianeta confortevole, così sogniamo di abbandonarlo inseguendo la fantascienza. Non può essere un caso se nella biblioteca di base di ChatGpt il genere più rappresentato sia proprio la fantascienza, da Bradbury a Orwell, da Dick a Gibson. E non può essere un caso, riguardo al cinema, se oggi appartengano alla fantascienza i kolossal più attesi (“Avatar: Fuoco e cenere”), le serie in streaming più discusse (“Squid Game”), le opere degli autori globali da Oscar (“Frankenstein” di Del Toro) e tante interessanti produzioni indipendenti da paesi di tutto il mondo, che rappresentano da 25 anni il pane proprio del Trieste Science+Fiction Festival.
Il programma di questa nuova edizione (28 ottobre – 2 novembre 2025) conferma sulla carta, per nomi e spunti, quell’attrattiva che ne decreta da un quarto di secolo il successo crescente: un festival per i fan (anche internazionali) del genere, per i giovani, per la città (che non a caso è quella dove in Italia si legge più fantascienza). Un festival con un pubblico vero, che sa cosa va a vedere, che giudica (e che magari sghignazza in sala) con la severità e l’ironia già tipiche del loggionista d’opera. Un pubblico diventato nel tempo sana e pacifica comunità al grido identitario di “Raggi fotonici!”.
Il cuore del cartellone, ovvero i nuovi lungometraggi, punta sulle anteprime (in crescita quelle internazionali, tutte comunque prime italiane) che nella trentina di titoli, fra concorso e fuori concorso, vede dominare gli Stati Uniti (un terzo dei titoli, forse un bel record). Ma una buona quota spetta pure a Francia e Giappone, con presenze tra gli altri paesi anche di Germania, Spagna, Canada, Australia e Cina (curiosamente una sola presenza britannica e zero per l’Italia, anche questo forse un record). In totale sono oltre 100 gli appuntamenti in sala (anche classici, documentari, corti) e in città, con gli incontri che si terranno nuovamente nello Sci-Fi Dome in Piazza della Borsa e in Sala Xenia.
Con queste premesse e con una tradizione unica che include il Fantafestival degli anni ’60-’80, il Science+Fiction si trova in una situazione quasi ideale e può permettersi una bella varietà di storie, dalle questioni classiche della fantascienza ai nuovi scenari.
Così il film d’apertura martedì 28 ottobre, “The Shrinking Man” del francese Jan Kounen (presente alla proiezione) aggiorna il tema del rimpicciolimento umano, basandosi sul romanzo del 1956 di Richard Matheson. Il viaggio nel cosmo è invece al centro del giapponese “Transcending Dimensions” di Toshiaki Toyoda (mercoledì 29). Poi la macchina del tempo è protagonista dell’americano “Redux Redux” dei fratelli McManus.
Per restare (in due film Usa) nella sci-fi di matrice 900esca, lo scontro con gli alieni ritorna in “Osiris” di William Kaufman (venerdì 31), mentre “Orion” di Jaco Bouwer (sabato 1) è un “noir” alla Philip K. Dick su più verità possibili. E se l’inglese “Bulk” di Ben Wheatley (venerdì 31) è una rivisitazione dei multiversi, non mancano le opere che ci mostrano un futuro che sembra prossimo, tanto evoca le paure del nostro presente. Il canadese “Falsehood” di Ethan Hickey è ambientato in un mondo distopico in cui i ricordi dell’umanità sono controllati dal governo. E l’incubo che l’Artificial Intelligence ci rubi il lavoro è il tema del thriller americano “CognAItive” di Tommy Savas (mercoledì 29). Ma l’AI è addirittura al vertice dell’organizzazione sociale della Parigi del 2045, con tre zone rigidamente separate per classe, nel “noir” francese “Chien 51” di Cédric Jimenez (domenica 2).
Del resto, che il cinema di fantascienza in passato abbia già azzeccato il futuro ce lo ricordano le riproposte, in Sci-Fi Classix, del visionario (dal titolo esemplare) “Things to Come” (1936) di William Cameron Menzies, che aveva predetto il bombardamento di Londra, e del geniale “The War Game” (1965) di Peter Watkins, che metteva in scena un attacco nucleare nel Kent con impressionante realismo. In fondo, forse ha ragione il “futuro alternativo” dello svedese “Egghead Republic” di Pella Kagerman e Hugo Lilja (giovedì 30 nel concorso Méliès), con la sua satira in cui si immagina che la Guerra fredda non sia mai finita. —
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