Ulitskaya: «Putin io lo detesto»

di ROBERTO CARNERO
Inaugurata dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, apre domani i battenti al Lingotto di Torino la ventinovesima edizione del Salone del libro (che si concluderà lunedì 16). Tema di quest'anno sono le "Visioni", intese come la capacità dell'essere umano di guardare al futuro per costruire un mondo migliore.
A Torino sono presenti oltre mille editori per 1200 eventi e dibattiti in programma. Numerosi gli ospiti d'eccezione, dai poeti arabi, a cui è dedicata un'apposita sezione, al premio Pulitzer Michael Cunningham, dalla spagnola Clara Sanchez al Premio Strega Nicola Lagioia. Oltre alla presenza del presidente del Consiglio Matteo Renzi, è prevista quella di molti ospiti illustri, come l'astronauta Samantha Cristoforetti, il fotografo Oliviero Toscani, l'architetto Stefano Boeri.
La regione ospite d'onore del Salone 2016 è la Puglia, ma è presente anche un ampio stand del Friuli Venezia Giulia, con un'area espositiva di oltre 100 metri quadrati al Padiglione 2. Sulla base dei dati 2015 forniti dall'Associazione italiana editori, il Friuli Venezia Giulia risulta la regione d'Italia con più lettori in proporzione alla popolazione: rispetto alla media nazionale, che si ferma al 43 per cento, il 56,4 dei residenti legge almeno un libro all'anno.
La Fondazione Pordenonelegge.it curerà 10 incontri dedicati alla poesia: 7 di questi si terranno nello stand della Regione, i rimanenti nelle sale della fiera. Tra gli ospiti chiamati a intervenire, poeti, scrittori e critici di richiamo internazionale: tra gli altri, Nicola Gardini, Alberto Garlini, Davide Rondoni, Hermann Grosser, Roberto Cescon, Salvatore Ritrovato.
Uno dei nomi più attesi al Lingotto è quello di Ludmila Ulitskaya, che venerdì presenterà il suo nuovo romanzo “Una storia russa” (traduzione. di Emanuela Guercetti, Bompiani, pagg. 648, euro 25), in dialogo con Elena Kostioukovitch e Anna Zafesova. Il libro racconta la vicenda di tre compagni di scuola che si incontrano a Mosca negli anni Cinquanta: un poeta rimasto orfano, un pianista fragile ma molto dotato e un fotografo in erba con il grande talento di collezionare segreti. Tutti e tre si fanno strada verso l'età adulta in una società dove i loro eroi sono stati censurati oppure esiliati.
Il romanzo offre una narrazione intensa e avvincente della vita in Unione Sovietica dopo Stalin, interrogandosi su come fosse possibile mantenere la propria integrità individuale in una società governata dal Kgb. L'arte, la letteratura e l'attivismo sono i mezzi attraverso cui i protagonisti cercano di reagire all'oppressione del regime, ma ciascuno di loro finisce per dover fare i conti con la polizia segreta, straordinariamente efficiente nel suscitare paranoie, sospetti e tradimenti.
Abbiamo incontrato a Milano l'autrice russa, alla quale abbiamo rivoltgo alcune domande.
Signora Ulitskaya, lei è nata nel 1943 e dunque ha vissuto in prima persona gli anni del post-stalinismo. Quanto c'è di autobiografico nel suo romanzo?
«Avrei voluto nascondere le tracce reali, mie e dei miei amici e conoscenti, in modo che i protagonisti della storia che racconto non potessero riconoscersi, ma devo confessare che alla fine non ci sono riuscita. Nel libro i lettori russi che hanno più o meno la mia età troveranno l'immagine della loro generazione».
Che cosa riconosceranno in particolare?
«Il clima di un'epoca segnata dalle persecuzioni, dalle perquisizioni, dai telefoni sotto controllo, dagli interventi a vari livelli della polizia segreta, da delazioni, sospetti, spionaggio. In un Paese così non puoi mai essere tranquillo, non puoi mai sapere veramente di quali dei tuoi amici ti puoi fidare e di quali no».
Come mai a distanza di tanti anni ha deciso di raccontare tutto questo?
«Perché sono esperienze e situazioni che mi hanno segnata profondamente e che sono rimaste dentro di me. Ma anche perché questo periodo della Storia sovietica è stato scarsamente rappresentato dalla letteratura. Sappiamo molto di che cosa vissero coloro che furono imprigionati nei gulag grazie alle straordinarie testimonianze letterarie di autori come Aleksandr Solženicyn, Varlam Šalamov, Evgenija Ginzburg. Ma di quanto succedeva nelle città a coloro che non venivano arrestati oggi si sa e si ricorda molto meno».
Perché è importante ricordare queste cose?
"La memoria del passato è un dovere civile. Ho scritto il mio romanzo pensando di rivolgermi ai miei figli e ai miei nipoti».
Come si viveva nella Russia post-stalinista?
«In un regime come quello ti senti sempre colpevole di fronte al potere perché lo odi. Ricordo il giorno in cui morì Stalin. Ero solo una bambina di dieci anni. A scuola ci fu un'adunata in cui tutti piangevano a dirotto, in lacrime con le facce rosse per il pianto: il direttore, le maestre, i bidelli... Io mi sentivo in colpa perché proprio di piangere non mi veniva. Fu la presa di coscienza di una diversità che mi avrebbe spinto, nel corso degli anni, a cercare quelli come me: gli insoddisfatti e gli insofferenti nei confronti del pensiero unico imposto dall'alto».
E oggi come vede la Russia di Putin?
«Beh, se quando tutti piangevano Stalin morto io non lo facevo, capirà che oggi quando tutti esaltano Putin io tendo a detestarlo. Diciamo che attualmente l'opinione pubblica russa è in gran parte schierata a favore del presidente. I sondaggi dicono che ben l'86 per cento dei russi lo appoggia, mentre soltanto il 14 si colloca all'opposizione. Ovviamente io sono in quel 14. Ma non le dirò che cosa non mi piace di Putin, sarebbe troppo facile. Le dirò che cosa mi piace: il fatto che per ora ha messo in galera meno gente di quanto avrebbe potuto e il fatto che posso dire apertamente quasi tutto quello che penso di lui. Dico quasi tutto, perché se dicessi tutto, nella Russia di oggi sarei certamente in prigione. E non potrei essere qui in Italia a parlare del mio libro».
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