Un finto corteo nuziale per mettere in scacco la fragilità dell’Europa

di Elisa Cozzarini È una storia fantastica e incredibilmente vera, quella raccontata nel documentario "Io sto con la sposa" di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry. I...
Di Elisa Cozzarini

di Elisa Cozzarini

È una storia fantastica e incredibilmente vera, quella raccontata nel documentario "Io sto con la sposa" di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry. I tre autori mettono in scena un finto corteo nuziale e partono da Milano con l'obiettivo di accompagnare in Svezia cinque profughi siriani palestinesi in fuga dalla guerra, verso l'asilo politico e una vita migliore. Il docufilm, finanziato grazie a una campagna di crowdfunding che ha raccolto centomila euro in pochi mesi con le donazioni di 2.617 produttori dal basso, verrà presentato in anteprima nazionale il 4 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso nella sezione "Orizzonti".

L'idea nasce per scherzo e subito diventa realtà: chi chiederebbe mai i documenti a una sposa? Nessuno. In quattro giorni, infatti, tra il 14 e il 18 novembre 2013, ventitré persone, italiani, palestinesi e siriani, chi in regola, chi no, tutti vestiti come se davvero andassero a un matrimonio, percorrono tremila chilometri e raggiungono Stoccolma, svelando un volto inedito dell'Europa, accogliente e solidale. Un continente fatto di gente comune, con la voglia di sorridere e di costruire un Mediterraneo di pace. L'avventura inizia appena pochi giorni prima, quando il giornalista toscano Gabriele Del Grande e il poeta palestinese Khaled Soliman Al Nassiry, rifugiato in Italia da alcuni anni, incontrano Abdallah Sallam alla stazione di Milano. Sarà lui il finto sposo.

Abdallah è scampato al drammatico naufragio dell'11 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, in cui sono morte 268 persone. In fuga dalla guerra in Siria, l'uomo sta cercando di raggiungere la sua famiglia in Svezia e per farlo non deve essere identificato in un altro paese dell'Ue. In base agli accordi di Dublino, infatti, si può richiedere l'asilo politico solo nel primo Stato membro d'arrivo. Ecco perché lui, come molti altri, cerca di passare la frontiera sfuggendo ai controlli. La sua vicenda colpisce così tanto Del Grande, Al Nassiry e Augugliaro, che i tre decidono di accompagnarlo in Svezia e si inventano, appunto, il finto corteo nuziale. Prima di tutto bisogna trovare una sposa.

Tasneem Fared è perfetta per il ruolo, una ragazza palestinese con passaporto tedesco, attivista in Siria per scelta. È attraverso la sua voce che nel documentario si racconta la guerra. Nel giro di due settimane, poi, al corteo si uniscono altri quattro palestinesi siriani senza documenti, la troupe degli operatori audiovisivi e alcuni amici. Partono con il cuore che batte per l'emozione e l'entusiasmo di chi insegue un sogno, per i profughi l'asilo politico in Svezia, per la troupe portare il film a Venezia e farlo conoscere al maggior numero di persone possibile.

«"Io sto con la sposa" è una storia di disobbedienza civile, politicamente scorretta. Ancor prima di uscire, è già il film manifesto di chi non ce la fa più a sentire le notizie di morti in mare e vuole un cambiamento. Attorno al progetto si è unita una grande comunità virtuale, anche grazie ai social network: è così che siamo riusciti a realizz. are il documentario, senza una vera casa di produzione, con le donazioni di 2.617 persone», afferma Del Grande, fondatore del blog Fortress Europe, un osservatorio che da anni raccoglie le storie di chi cerca di arrivare in Italia dalle coste africane. Dà loro un volto e una dignità, le rende umane. «Volevamo parlare di immigrazione senza cadere nel vittimismo, alla ricerca di una nuova estetica della frontiera, con un linguaggio capace di trasformare i mostri delle nostre paure in eroi, il brutto in bello, i numeri in nomi propri», spiega Antonio Augugliaro, regista televisivo, attivo nella scena del cinema indipendente milanese. «Prima di essere autori del documentario, siamo noi stessi protagonisti della storia, facciamo parte del corteo nuziale. Insieme, italiani e palestinesi, riusciamo a infrangere le regole della "Fortezza Europa" con la sola arma dell'ironia».

Il risultato è più simile a una fiction che a un documentario classico, sembrerebbe un film d'azione, se non raccontasse un'impresa così drammaticamente reale. I momenti di tensione sono veri e concreta è la paura di non farcela. Ancora adesso, gli autori rischiano una denuncia per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. «La maschera ha vinto sulla realtà - continua Augugliaro - fino al punto che alla stazione di Copenhagen la presenza della troupe ci ha aiutato a rendere ancora più vera la finzione del corteo nuziale, perché in tutti i matrimoni ci sono fotografi. Pensare che un poliziotto ci ha pure fermato per fare le congratulazioni agli sposi».

Dialoghi e personaggi non rispondono a una sceneggiatura, si sono sviluppati liberamente durante i quattro giorni di viaggio. «Avevamo fissato solo alcuni punti fermi, scene necessarie per il racconto della storia. Per esempio, il momento in cui tutti consultiamo la mappa ci doveva essere», dicono gli autori. Augugliaro confessa che, alla fine del viaggio, dopo dodici ore di macchina al giorno e al massimo tre ore di sonno a notte, era convinto di non aver ripreso niente di buono. «Gran parte del film è in arabo, ma né io né i tecnici lo parliamo e non c'era tempo di fare traduzioni, - dice. - Ci siamo sorpresi, invece, di essere riusciti a cogliere i momenti più toccanti». Ma era impossibile non commuoversi ascoltando le parole di Abdallah durante la prima tappa del viaggio, dopo l'arrampicata sul "passo della morte", nelle montagne tra Ventimiglia e Mentone. Proprio qui, dove un tempo tanti italiani sono morti nel tentativo di emigrare, il finto sposo ha deciso di ricordare le persone annegate nel naufragio del suo barcone. Ad accompagnare il corteo nuziale è la musica originale dei Dissòi Lògoi, una band che utilizza diversi strumenti della tradizione popolare del Mediterraneo, per un risultato meticcio, con sonorità gitane e arabeggianti insieme, suggestive, allegre e drammatiche. E poi c'è il rap improvvisato di MC Manar, uno dei protagonisti del documentario. Una sera, nell'atmosfera magica di un bar di Marsiglia, un gruppo di musicisti lo invita a cantare, lui prende il microfono e racconta la sua vicenda. Oggi tre dei cinque palestinesi protagonisti del film sono in Svezia, MC Manar e suo padre, invece, hanno dovuto tornare in Italia, perché erano già stati identificati. Continuano a sognare e sperare in un mondo migliore.

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