Una famiglia di ricchi ebrei in quel passato materno che riemerge dall’oblio
Quella del giovane protagonista dell’ultimo romanzo di Alessandro Piperno (‘Di chi è la colpa’, Mondadori, pagg. 434, euro 20) è la storia di un impostore. Come definire altrimenti la scelta di tagliare i ponti con la vita precedente, lasciare dietro a sé domande irrisolte, così come persone e affetti e accettare di rivestirsi di una nuova identità?
A quindici anni, con una vita precocemente devastata da una serie di circostanze drammatiche, il caso gli offre la possibilità di cambiare vita. Poteva rinunciare a migliorare la sua condizione? Forse no, ma imparerà a sue spese che la vita presto o tardi presenta il conto, e ti costringe a fare i conti con chi sei veramente.
Il ragazzo solitario e introverso di cui non sapremo mai il nome, vive a Roma, con i suoi genitori in un quartiere periferico. Sono i primi anni Ottanta. Mamma insegnante di matematica, papà venditore di aspirapolveri. Lei è rigorosa, severa, seria, lui arriva da una esistenza agiata andata a catafascio ed è costretto a fare i conti con il suo fallimento e i debiti che la moglie gli rinfaccia quotidianamente. Il passato della mamma invece è un buco nero. Nessun accenno ai genitori, nessuna foto in giro. Un mistero che comincia a svelarsi un giorno che i tre vengono invitati a un seder di Pesah, una festa ebraica. Non sai che tua madre è ebrea? gli chiede allora il padre.
Così il lettore viene condotto in un mondo, quello della ricca borghesia ebraica, che lo scrittore romano aveva già fatto conoscere nei suoi libri precedenti (il folgorante ‘Con le peggiori intenzioni’ gli valse il Campiello opera prima nel 2005, ‘Inseparabili’ lo Strega nel 2012). Case lussuose, frequentazioni elitarie, scandali, famiglie antiche e ricchi parvenu, un mondo che dovrebbe in parte appartenere al giovane, ma del quale non sa niente e che i genitori si sono ben guardati dal fargli trapelare.
Poi a un certo punto accade l’avvenimento chiave che farà di lui un deraciné, un senza famiglia e che non va svelato perché merita davvero scoprirlo leggendo questo libro in cui la tensione narrativa non viene mai meno. Spazzata via la vita di prima verrà accolto nella grande casa dello zio avvocato dalla vitalità travolgente che sarà il suo pigmalione e gli farà assaggiare i frutti del suo ricco ramo materno; ma il ramo, proprio perché è un’impostura, una mistificazione, è troppo sottile per non spezzarsi.
Piperno ha condensato qui il meglio dei suoi romanzi precedenti: uno stile impeccabile, dove ogni parola sembra essere collocata al posto giusto, la storia di una fuga e di un andare alla ricerca di sé nel momento più delicato della vita, l’adolescenza, un atto d’amore verso i genitori (“chissà che non servano a questo i figli, a testimoniare fuori tempo massimo, quando è ormai troppo tardi, l’eroismo dei padri”), un continuo fare i conti con l’eredità di una tradizione, quella ebraica, ingombrante anche per chi vi appartiene solo a metà.
E poi c’è Francesca, la cugina ebrea che lo seduce e poi lo abbandona per andare a vivere in Israele, la donna che il protagonista non smetterà mai di amare e che, incontrata dopo quarant’anni, gli ispirerà un bilancio ad occhi asciutti: “anche il peggio e il meglio erano passati così, fusi in un palpito, e tutto sommato non avevano lasciato traccia”. —
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