Van Gogh, tra grano e cielo
Alla Basilica di Vicenza 129 capolavori dell’artista olandese dai maggiori musei del mondo

Una mostra «rara» l'ha definita il curatore Marco Goldin: le opere all'interno del percorso espositivo diventano «come le pagine del diario di una vita». Un autentico racconto, intenso, sofferto ma capace anche di gioia, di fuggevoli momenti di felicità; la vicenda umana e artistica di uno degli autori più amati nella storia della pittura. Un racconto e insieme un viaggio all'interno dell'anima dell'artista.
“Van Gogh tra il grano e il cielo”, tra gli eventi più attesi della stagione autunnale ha aperto da poco i battenti negli splendidi spazi della Basilica di Vicenza e lo ha fatto subito con cifre da record: 115.000 prenotazioni ancora prima dell'inaugurazione, 1 miliardo e 100 milioni di euro di valore assicurativo.
Dell'autore olandese si possono ammirare 129 capolavori, 43 oli e 86 disegni, provenienti da alcuni dei maggiori musei del mondo, primo fra tutti il Kroller-Muller Museum di Otterlo. I disegni sono il doppio dei dipinti, ma si tratta di disegni potentissimi.
Entrando nelle sale si viene accolti da un'atmosfera caratterizzata da una luce bassa, soffusa, volta a illuminare soltanto le opere, le didascalie, i testi che accompagnano la visione.
La storia ha inizio nell'autunno del 1880 quando Vincent Van Gogh si trova nella regione belga del Borinage, dove si era recato per predicare il Vangelo al popolo di minatori. Qui prende la decisione di diventare pittore, lo scrive in una lettera al fratello Theo, al quale rivela anche quanto per lui sia importante il disegno, quanto gli sia fondamentale per rafforzare «sia la mano sia lo spirito».
Sono i contadini, gli zappatori, i seminatori i soggetti su cui si esercita Vincent guardando all'arte di Jean-François Millet. Lavora con accanimento, sempre insoddisfatto del risultato ma consapevole che dopo aver imparato a disegnare bene, «a dominare sia la matita sia il carboncino sia il pennello» farà delle buone cose, «non importa dove».
Dal Borinage, passando per Bruxelles, l'artista giunge a Etten nella primavera del 1881, per poi recarsi a L'Aia. Dalle campagne con gli zappatori e i mulini a vento, passa a descrivere gli interni ritraendo le donne accanto al focolare, mentre cuciono, pelano le patate, guardano stancamente avanti a loro. Ritrae anche le donne che camminano sulla neve portando addosso enormi sacchi di carbone, gli umili con i volti segnati dalla sofferenza, dal duro lavoro, come nella “Testa di un pescatore con cappello” o nella “Ragazza con lo scialle”; o ancora gli alberi che attraverso le loro radici e i loro rami dicono già di un tormento, di un'inquietudine al di là della natura.
Dalla regione del Drenthe si sposta quindi a Nuenen. Continua a guardare alla pittura di Millet ma anche a quella dei paesaggisti della Scuola dell'Aia; mantiene un segno improntato alla ricerca e alla resa del vero, utilizza un colore denso, scuro che ha il sapore della terra.
Tra 1885 e 1886, è ad Anversa per frequentare la locale Accademia di Belle Arti ma la vera svolta avviene all'inizio del marzo 1886, con l'arrivo a Parigi. La luce degli impressionisti fa schiarire la sua tavolozza, la tecnica divisionista del giovane Seurat gli suggerisce una nuova tecnica pittorica. Vincent dipinge un “Interno di ristorante”, carico di colori e vitalità. Ben presto però sente la necessità di ancora più colore e di ancora più sole, perciò si reca nel Sud, ad Arles dove alloggerà nella Casa Gialla. Qui nascono i suoi capolavori: “Sentiero nel parco”, “Gelsi potati al tramonto”, “Il ponte di Langlois ad Arles”.
Ma a una tale vitalità e pienezza espressiva fa da riscontro l'aggravamento del suo stato di salute: nel maggio 1889 Vincent decide di farsi ricoverare alla casa di cura per malattie mentali di Saint-Paul-de-Mausole di Saint-Rémy. In mostra un grande, inatteso plastico di circa 20 metri quadrati, ne dà un'attenta ricostruzione.
Si giunge così all'ultima sala, agli ultimi due mesi del pittore trascorsi ad Auvers-sur-Oise, villaggio a una trentina di chilometri da Parigi, dove risiedeva un medico, amico del fratello Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet, che si sarebbe preso cura di lui. Furono settanta giorni intensi, sofferti, febbrili e ancora una volta ricchi di capolavori. Vincent ritorna a dipingere i soggetti dei suoi disegni di un tempo: il seminatore, gli zappatori di Millet, un vecchio che soffre. Accende di luce e di vita traboccante i paesaggi che ha di fronte a sé, il cielo, il grano, i papaveri. Una vita che qualche giorno dopo deciderà di togliersi.
A suggellare il percorso espositivo ci sono quindi le opere del pittore Matteo Massagrande, chiamato a interpretare “Canto dolente d’amore (l’ultimo giorno di Van Gogh)”, monologo teatrale scritto dallo stesso Marco Goldin, il quale oltre al catalogo, ha curato una nuova edizione di 100 lettere scritte da Van Gogh e ha realizzato un film documentario con una serie di riprese nei luoghi dell'artista e musiche originali, visibile al termine della visita all'interno della Basilica palladiana. La mostra rimarrà aperta fino all'8 aprile 2018.
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