Vittorio Vidali lo stalinista che odiava Tito e amava se stesso

MARINA ROSSI
È in libreria il volume di Patrick Karlsen “Vittorio Vidali. Vita di uno stalinista (1916-1956)”, edito da Il Mulino (pagg. 311), per conto dell’Istituto Italiano di Studi Storici. L’autore è assegnista di ricerca al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Trieste e direttore scientifico dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza nel Friuli Venezia Giulia. L’opera sarà presentata al Circolo della stampa di Trieste mercoledì alle 17.30.
Nella congerie di fonti individuate nei più importanti archivi italiani ed esteri e una vasta bibliografia, Patrick Karlsen persegue con felicità di scrittura, estremo rigore e onestà gli obiettivi che si è proposto, volti a individuare l’attività di Vittorio Vidali all’interno dell’ambiente transnazionale e della rete globale del Comintern che lo videro operativo dalla Germania alla Francia, dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica, dal Messico alla Spagna. Un compito arduo che implica il confronto con il mito e il contro mito di un Vidali sinistro agente di Mosca nella cultura antistalinista e anticomunista prima e dopo la guerra fredda, accusato di essere l’autore e l’organizzatore di tutta una serie di celebri delitti: dal comunista cubano Juljo Antonio Mella al leader del POUM Andrea Nin, da Lev Trockij a Tina Modotti, all’anarchico Italo-americano Carlo Tresca.
Helena Stasova
Per demistificare tali accuse, l’autore applica gli strumenti e le metodologie dell’analisi storica e studia i contesti originari in cui presero forma le contrapposte mitologie; il loro sviluppo nel tempo, gli eventuali punti di contatto con la realtà. Karlsen dimostra di saper tenere saldamente in mano il timone, avventurandosi nelle perigliose rotte tracciate dai servizi segreti sovietici. Figura chiave in tale ambito fu Helena Stasova con cui, a differenza di Ivan Regent che non la sopportava al punto da por fine al suo incarico nel Soccorso Rosso Internazionale, Vidali riuscì a stabilire da subito una meravigliosa empatia e condivisione di intenti politici, destinati a perdurare nel tempo.
Helena Stasova fu la persona più importante nella biografia politica del nostro protagonista. Direttrice del SRI, Soccorso Rosso Internazionale, fu figura autorevole del regime sovietico e del Comintern, membro della segreteria personale di Stalin e della commissione di controllo oltre che sovrintendente di un servizio segreto controllato direttamente da Stalin. Grazie ai preziosi consigli di Helena, alla fine del 1935 Vidali raggiunse la Spagna, sfuggendo all’onda montante di arresti nella capitale sovietica e, nel 1939, alla fine della guerra di Spagna, non rientrò in Unione Sovietica ma espatriò in Messico. Quella dirigente carismatica fu per lui un’autentica guida spirituale, posta a capo del processo di costruzione e decostruzione della sua personalità per fare di lui un vero bolscevico, rimuovendo i residui piccoloborghesi della sua identità precedente e correggendo le tendenze eccessivamente di sinistra, derivanti dal suo bordighismo originario e dalla sua militanza armata nell’arditismo rosso.
L’uomo nuovo
A quei principi e a quelle direttive, necessari a creare l’uomo nuovo, egli si attenne con tutte le sue forze. Questo lavoro su se stesso, intensificatosi a Mosca nella prima metà degli anni Trenta, appare centrale nel suo percorso di adesione allo stalinismo. Ciò spiega perché Vidali poté rinnegare amicizie, rimuovere il proprio ruolo di accusatore nei confronti di Luigi Calligaris, già direttore de “Il Lavoratore” a Trieste condannato alla deportazione in Siberia (è solo un esempio), e rendersi parte attiva nel processo di contenimento, durante la prima parte del suo soggiorno messicano tra il 1927 ed il 1928.
La stretta aderenza alla linea politica stabilita dai servizi segreti sovietici, lo inducono a lottare “contro il nemico interno ed esterno”, il deviazionismo di destra e di sinistra in Spagna e in Messico. La rigorosa documentazione di Patrick Karlsen conferma, pertanto, al di là di ogni illazione, le responsabilità materiali o morali del nostro su tante attività repressive.
Altre importanti inedite precisazioni ci provengono dai riferimenti alla prima educazione di Vidali, impartitagli dal padre, d’orientamento irredentista filoitaliano. Ciò spiega la partecipazione dello studente Vittorio ai cortei patriottici d’impronta liberalnazionale, filoitaliana, che percorsero le principali vie di Trieste alla fine dell’ottobre 1918, culminanti con l’esposizione del tricolore sul pennone del castello di San Giusto. Che sia stata quella prima educazione ad iniettare a Toio dosi così massicce di antislavismo da fargli odiare in un futuro non lontano Tito, il titoismo, gli sloveni, il nuovo stato jugoslavo? Quella posizione contribuì non poco ad orientarlo, dopo la breve fase del TLT, ad appoggiare il ritorno di Trieste all’Italia anche infiltrandosi nella struttura di Gladio. In un documento dell’Fbi si afferma testualmente: “Vidali è un aperto difensore di Trieste italiana ed è fortemente contrario a Tito”.
La parabola di una vita
Nella periodizzazione scelta da Karlsen, 1916 (Grande guerra) - 1956 (XX Congresso), si condensano il senso e la parabola di un’esistenza. Il mondo che cambia dopo quella data non corrisponde più ai valori e ai principi per i quali il giaguaro si era battuto senza esclusione di colpi. Sordo ai ripetuti richiami rivoltigli da Togliatti, da altri dirigenti del Pci scelse, nell’ultima fase della sua vita, l’impegno culturale nel circolo di Studi politici e sociali “Che Guevara”, da lui creato, e si dedicò alla conservazione della propria memoria, scegliendo la strada dell’autocelebrazione più che quella dell’autocritica.
Lo espresse con incisiva eleganza e profondità nell’orazione funebre pronunciata alle esequie, nel novembre 1983, Claudio Magris, indicando in lui un esempio di soggettività “classica”, salda e unitaria, quella classicità che “negli anni di Hitler e di Stalin può essere anche una tentazione terribile e cioè il tentativo eroico, ma totalitario, di subordinare la vita, con tutta la verità delle sue dissonanze e lacerazioni, a un fine monolitico e spietato”.
Riproduzione riservata © Il Piccolo