«Viva la rivoluzione!» Voci di soldati triestini dall’Ottobre Rosso
Marina Rossi recupera memorie e diari dei prigionieri austroungarici del Litorale internati in Russia nel 1917

Pubblichiamo di seguito uno stralcio di un ampio studio della storica Marina Rossi sulla partecipazione dei soldati austroungarici del Litorale, inviati sul fronte orientale e diventati prigionieri di guerra, molti dei quali anche triestini, alla Rivoluzione russa del 1917. Si tratta di testimonianze raccolte in anni di ricerche confrontando archivi e memoriali privati con documenti degli archivi russi.
I militari austro-ungarici impegnati al fronte orientale, simpatizzano, nel febbraio e nella primavera del ’17 per quella che viene generalmente denominata la “Rivoluzione per la pace” e si mettono in posa per delle foto ricordo che li riprendono intenti a fraternizzare con i nemici di un tempo. Da questi ricevono fogli e volantini di propaganda, il cui testo, liberamente tradotto dal cirillico, raggiungerà, tra mille vicissitudini, i centri politicizzati dell’interno. La parola “pace”, accompagnata ai più svariati aggettivi, ricorre in migliaia di messaggi, ormai incuranti della censura postale e spediti da ogni dove: dai vari fronti e dalle più remote località dell’impero, dai depositi, dagli ospedali e dai campi dove vivono internati i prigionieri di guerra austroungarici. Talora si disegna sul verso di una feldpost un berretto militare con infilati sul frantiscek i simboli della festa del lavoro, garofani rossi e fiori di maggio, o si preferisce inviare delle cartoline stampate dalle tipografie viennesi, riproducenti una figura femminile alata che veglia sul giovane monarca in preghiera per le sue genti o che si cala dall’alto per dividere i contrapposti eserciti. Quest’ultimo motivo, tipico dell’iconografia popolare, è presente anche nelle stampe ricordo portate a Trieste dai soldati di stanza nei kader della Stiria e trova raffigurazione concreta nella recita allestita a Kirsanov, dal piccolo gruppo di ufficiali lealisti, ad un mese circa dalla rivoluzione.
In un biglietto della Rotes-Kreuz diretto ai genitori, il triestino Adalberto Cosiansich, già impiegato alle Assicurazioni Generali e volontario di guerra, racconta: «Carissimi! Abbiamo allestito per oggi, festa di Pasqua, nella stanza maggiore della nostra abitazione un teatrino e in 10-12 abbiamo dato una serata di varietà per divertirci e per divertire gli altri 40 camerati che faceva da pubblico. Un’orchestrina, violini, mandolini, chitarra ha suonato tutta la sera dei pezzi adatti. I travestimenti a base di cartone, carta colorata, stracci, ovatta ecc. riuscitissimi, tanto che i due camerati donna erano cortegiatissimi. Tutti si facevano in quattro per avere un loro sorriso!». La cittadina di Kirsanov, investita dagli eventi rivoluzionari il 18 marzo 1917, costituisce un osservatorio molto indicativo. Nel diario dell’ufficiale fiumano Oskar Ferlan troviamo traccia delle prime manifestazioni cui parteciparono gli austroungarici. La simpatia di questi ultimi per l’istanza socialista si collega alla speranza di una rapida conclusione del conflitto. Il 28 aprile l’assemblea degli ufficiali decide di “accettare l’odierno ordine di cose e di simpatizzare per il nuovo governo”. Il 30 aprile si decide di “esporre per domani la bandiera rossa dal poggiolo e partecipare, dietro invito, al corteo socialista, in unione ai nostri soldati”. Al corteo del primo maggio, scrive il Ferlan, partecipano e fraternizzano soldati russi ed austroungarici: «Festa del primo maggio, libertà tutto il giorno. Musiche in giro per la città, al dopo pranzo immenso corteo con centinaia di bandiere rosse e dediche (20.000 partecipanti, tra i quali 6-8.000 soldati). Partecipiamo alla festa dei nostri soldati e accompagnati da soldati russi, i nostri soldati cantano l’internazionale e la marsigliese, al comizio Hern e Brunner parlano in russo – applauditissimi!».
Nelle campagne la situazione appare confusa e caotica. Una folla miserabile celebra la raggiunta libertà con delle pubbliche manifestazioni in cui s’intonano inni religiosi accanto a canzonette ed antichi motivi popolari, poche le bandiere rosse inalberate. È quanto registra il prigioniero di guerra Adriano Oliva, coinvolto dall’evento a Shatzkij, cittadina del Governatorato di Tambov: «Per la rivoluzione di Kerenskij in città c’era pochissimo movimento! Ho visto dei cortei in cui inalberavano una bandiera annodata alla buona ed anziché cantare la Marsigliese o inni rivoluzionari, si intonavano canzonette ed inni popolari». Nella città siberiana di Tara, la situazione è molto simile, stando a quanto scrive ai familiari Fran Susteršič, sloveno del sobborgo di Gretta, a Trieste, nelle poche righe a lui consentite dalla censura postale: «Cari! La rivoluzione è trascorsa in modo calmo e tranquillo. Noi qui siamo andati come al solito a camminare, accompagnati da un sottufficiale russo disarmato. Riceviamo regolarmente i giornali e la posta. Tutta la città è piena di bandiere rosse. L’allegria è enorme in tutti gli strati della popolazione. Tutti i cambiamenti sono avvenuti in modo incredibilmente ordinato e calmo. Perciò non dovete avere nessuna ragione di temere per me. Saluti e baci a tutti. Tara, 5 marzo 1917».
Anche nella regione del Donbass a Novij Zavod e nei dintorni di Juzofka, scrive Emilio Stanta, l’adesione ai moti di febbraio si manifesta attraverso una serie di scioperi e pacifiche manifestazioni: «Ma venne l’anno 1917 e con questo la prima rivoluzione di febbraio che sconvolse ogni cosa. Per fortuna noi eravamo distanti dai grossi centri e nulla successe a Novij Zavod, fuorché dei lunghi comizi, tenuti nel più grande padiglione della fabbrica, nei quali si infervoravano a parlare, scioltamente, vari operai dandosi il cambio». Più drammatiche le notizie provenienti da Rostov, dove i ricchi proprietari sono presi e gettati dalla finestra dei loro palazzi, mentre bande improvvisate si abbandonano al saccheggio ed alla violenza.
Non dissimili le notizie provenienti dalla testimonianza di Antonio Danielis, infanterista del 97°, fatto prigioniero nel corso dell’offensiva Brusilov ed internato ad Olsanitza, piccola località situata a circa cento chilometri a sud di Kiev. È questa una zona di terre fertili e ricche, ma con ampie fasce di emarginazione sociale, dove di lì a qualche anno si combatteranno ferocemente bolscevichi, bande anarchiche di Machno e sostenitori dei generali bianchi. Ma la rabbia contadina esplode subito dopo la Rivoluzione di febbraio e si esprime nell’occupazione dei latifondi e nei primi tentativi d’assalto alle sfarzose ville padronali: «La notizia della disavventura capitata al piccolo padre provocò prima un senso di perplessità, poi di sgomento nel gruppo dell’autorità che controllavano la fattoria: un paio di giorni dopo non si vedeva più la moglie e la figlia del fattore, poi sparì anche lui e nella grande villa padronale rimase solo la direttrice, che aveva un bambino con uno dei nostri camerati oriundo di Podgora (Gorizia)». Nelle fabbriche i prigionieri avvertono i benefici raggiunti in materia di lavoro. Il triestino Ezio Rieger, fino allora costretto a turni di 14 ore al giorno nell’altoforno di Almanzaja (Ucraina meridionale), il 4 aprile 1917 annota nel suo diario: «7/4 Rivoluzione russa. Si proclama la repubblica. Subentra anche per noi un po’ di libertà. Viene abolito il knut, crescono le paghe; ma cresce anche i viveri. Continui agitazioni e comizi. Vengono introdotte le 8 ore di lavoro. Con tutto ciò son stufo di questa vita e del lavoro. Attendo con impazienza l’ordine di partire per l’Italia». (...) Con il trattato di Brest-Litovsk (3 marzo 1918), il governo di Lenin si impegnò, insieme alle commissioni germaniche ed austriache, a favorire il rimpatrio degli internati civili e dei prigionieri militari. Alla fine dell’aprile 1918 erano rientrati nei confini dell’impero circa 380.000 prigionieri di guerra, cifra destinata a salire a 500.000 entro il mese di giugno. I testimoni diretti degli avvenimenti che avevano scosso la Russia, definiti, nei rapporti di polizia, “agenti del bolscevismo”, avrebbero svolto un ruolo determinante nella serie ininterrotta di ammutinamenti e diserzioni divampate, nel maggio 1918, all’interno di unità dell’esercito asburgico.
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