Žižek ci spiega perché l’idiota Forrest Gump è diventato miliardario

di Mary Barbara Tolusso
Il riso di Bergson, il motto di spirito di Freud, l’umorismo di Pirandello, sono tutti stati che hanno le loro radici nella natura del contrario, quel contrario capace di evocare un paradosso che susciterà il sorriso. Slavoj Žižek non è nuovo a tali registri, anzi battezzò il suo primo libro con uno stile provocatorio, “The sublime object of ideology”, allora al centro della questione c’erano le posture accademiche. E poi via via la sua fortuna è da sempre legata all’arguzia di mettere insieme tradizione filosofica e cultura popolare, non disdegnando titoli come “Il trash sublime” o mescolando Hitchcock con Lacan.
Insomma una popstar della filosofia che ora ci delizia con una sorta di manuale di umorismo postmoderno, un prontuario del politicamente scorretto e di critica dell’ideologia. Il titolo è semplice, chiaro, diretto: “107 storielle di Žižek” (Ponte alle Grazie, pag. 176, euro 13,00). La realtà delle finzioni, Marx, Freud, il popolo, i politici, il potere, il sesso. Ma soprattutto Lacan e Hegel, il sapere assoluto che fagocita ogni cosa e la triade hegeliana al servizio di esempi esilaranti.
Perché le 107 storielle servono a spiegarci una volta di più, e forse anche meglio di tanti manuali, il conflitto tra la forza profonda della vita e le sue cristallizzazioni. E lo fa a suo modo, Žižek, proponendoci sempre uno spiazzamento rispetto al tema centrale. Al lettore spetta la capacità di cogliere il rovescio comico e grottesco di ogni teoria o situazione reale. Così per esempio molte storielle comiche sono sostenute proprio dalla triade dialettica, soprattutto le barzellette che implicano sempre il triangolo della buona notizia prima e della cattiva poi, per essere infine sintetizzate in un’ulteriore buona novità.
Per esempio la n.32, quella del marito che si avvicina al medico per sapere l’esito dell’operazione di sua moglie. Il medico esordisce dicendo che la moglie è sopravvissuta (notizia buona), poi aggiunge che a causa di alcune complicanze non potrà mai più praticare sesso (notizia cattiva) per concludere infine: «Non si preoccupi, stavo solo scherzando! È tutto ok – sua moglie è morta durante l’intervento». Ecco un esempio comico particolarmente crudele che illustra in maniera efficace la triade filosofica implicata nella “conciliazione” finale (sintesi).
Insomma intorno all’umorismo žižekiano ruotano un bel po’ di concetti che vogliono grattare via parecchio formalismo, sia sociale che politico. E il gigante di Lubiana non risparmia nessuno: le credenze presupposte, il femminismo, la prostituzione dei quartieri alti, la negazione della negazione, il socialismo, la funzione della ripetizione, la necessità dello sguardo “altro”, il bisogno di un punto di identificazione esterno. Freddure e motti amati da Derrida o da Lacan e a cui Žižek aggiunge le sue personalissime varianti. “Verità” esaltate nei loro aspetti bizzarri, raccontini che talvolta sfiorano il luogo comune (come i modelli sessuali presi a pretesto, dalla potenza del pene alla filosofia delle corna), il tutto amalgamato a giochi concettuali pe. r nulla comuni e che d’un tratto ci mostrano la vita per com’è: irrimediabilmente soffocata dalla forma, incarnata dall’ideologia, dalle convenzioni a qualsiasi livello, tra marito e moglie come tra Europa e America.
D’altra parte Žižek è fatto così, una sorta di prestigiatore della contaminazione non solo tra le diverse discipline, ma anche tra le forme di pensiero, capace di passare dalla più consolante linearità a un ragionamento corretto sostenuto dalla contraddizione. Se fosse un romanziere potrebbe essere Kafka con una shakerata di Bukowski. Se fosse un poeta sicuramente Rimbaud.
C’è sempre il “Grande Altro”, come si esprime lacanianamente Žižek, a fare da supervisore con i soggetti sempre a strutturarsi fuori e dentro il potere, ma soprattutto dentro. Merita a tal proposito la n. 6 dove c’è Gesù che gioca a golf e, mentre cammina sulle acque per raccogliere tutte le palline, si crede pure Tiger Woods, il grande golfista americano. «È così che funziona l’identificazione fantasmatica», scrive Žižek: «nessuno, nemmeno Dio stesso, è direttamente ciò che è; tutti abbiamo bisogno di un punto di identificazione esterno e decentrato».
Una bella fregatura, a quanto pare, perché se siamo ricattabili questo dipende proprio dal fatto di crederci ciò che non siamo. In che altro modo potrebbe funzionare la pubblicità? Queste divertenti storielle indicano la logica sottostante a ogni inganno, ovvero: «sei libero di decidere, a patto che tu faccia la scelta giusta». E dentro il regno della manipolazione ci siamo tutti, nessuno escluso, il filosofo ce lo racconta anche attraverso il cinema.
Sono note le letture cinematografiche di Žižek, soprattutto del suo regista preferito, Hitchcock, indubbiamente il numero uno nel mettere in scena tramite i suoi misteriosi personaggi le inquietanti sfaccettature dell’umano (basti un film: “La finestra sul cortile”). Musica, cinema, filosofia, storia sono coniugati dall’autore come un percorso multimediale, con tutte le sue varianti, più o meno come funziona un’interfaccia: “clicca qui”, “apri il link” “ascolta il testo” e ciò che emerge è il cosiddetto inconscio sociale, l’aspetto oscuro delle ideologie che lo attraversano. Žižek ci fa cliccare i link di Lacan o Hegel per mostrarceli in soluzione con episodi umoristici. Ci trovate Clinton, Lenin, Gesù, Brežnev e tanti altri pronti a interagire umoristicamente con la Storia.
Barzellette divertenti, certo, sempre che la vostra soglia si spinga parecchio più su di quelle di Totti o Berlusconi. Più che altro quel che stupisce è che l’humor è pieno, ma privo di leggerezza. D’altra parte Žižek non ha mai avuto paura di “soffermarsi sul negativo” dell’ideologia contemporanea, basti ricordare la sua lettura di Forrest Gump, un idiota che grazie alla sua incapacità di capire diventa miliardario mentre la sua ragazza ribelle e impegnata muore. Come a dire che ormai l’ideologia non ha più paura, non deve più nascondersi e mostra il suo segreto: la sua efficacia implica la stupidità dei suoi soggetti. Una lettura opportuna, certo, ricordandoci che il rigore del pensiero non equivale alla leggerezza dell’arte. E anche le storielle di Žižek sono divertenti come lo è la vicenda di Forrest, ma prive di piume.
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