Niqāb a scuola, l'appello della politica: «Va vietato»

Dal Pd a Fi dopo il caso a Monfalcone: “È necessario introdurre delle regole”. La dirigente dell’Ufficio scolastico regionale scrive a Roma: «Bisogna tutelare la fruizione dell’iter formativo. Chiederò che siano fornite indicazioni uniformi a tutte le scuole, anche in assenza di una norma nazionale»

Tiziana Carpinelli
A Monfalcone continua a tenere banco il caso del Niqāb in classe (Bonaventura)
A Monfalcone continua a tenere banco il caso del Niqāb in classe (Bonaventura)

C’è un mondo, la Scuola, che si trova a fronteggiare situazioni ancora non cristallizzate da chi, per mestiere o mandato, legifera. Zero paracadute. Solo l’esperienza e una quotidianità da scavallare. Di plastica evidenza il caso del niqāb all’istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone. Dove ogni mattina una referente del plesso, in uno spazio discreto, alza il velo nero di quattro studentesse (una frattanto si è ritirata) per sincerarsi che a varcare la soglia sia effettivamente l’allieva iscritta al professionale.

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Una ragazza con il niqāb. A Monfalcone la vicenda dei controlli a scuola è diventata un caso

Il numero di ragazzi con alle spalle una famiglia migrante è lì significativo, sullo sfondo di una città di 30.540 residenti, il 30% stranieri.

Diego Moretti, capogruppo del Pd a piazza Oberdan e candidato sindaco nella città del cantiere, è il primo a drizzare le antenne e a scrivere all’Ufficio scolastico regionale. Per conoscenza, pure all’assessore all’Istruzione Alessia Rosolen. Chiede «un’interpretazione univoca che vieti di indossare alle ragazze, nelle aule, il niqāb: misura che va intesa non come proibizione, ma piena integrazione». Perché la vicenda del Pertini «non può essere lasciata all’autonoma gestione del singolo dirigente scolastico».

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Studenti del Pertini lunedì all’uscita da scuola. Foto Katia Bonaventura

Con una scelta sì «autorizzata» dal vertice didattico, secondo una «procedura di “riconoscimento” che peraltro non trova formalizzazione nel regolamento di istituto», ma «senza il coinvolgimento dei docenti».

«La copertura del volto – rileva il dem – non è un ostacolo all’individuazione della persona, ma lo è al processo d’integrazione: così si mettono in discussione il ruolo e la dignità di donna e il lavoro dei docenti, impegnati in maniera encomiabile nel ricreare le migliori condizioni per una corretta inclusione degli studenti. E si finisce per complicare le relazioni all’interno della comunità».

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Moretti dettaglia le implicazioni: il niqāb «impedisce un regolare svolgimento delle lezioni di scienze motorie, scaricando sul singolo docente la responsabilità di una valutazione iniqua, ove non “stroncante”». Inoltre è «incompatibile» coi tirocini obbligatori dalla terza classe in poi. Specie, termina, se si è chiamati a stage con l’utenza anziana o minorile, come avviene all’indirizzo Sociale e dove figurano le alunne dal volto coperto.

Replica a Moretti la dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, Daniela Beltrame: «Sono assolutamente d’accordo: è necessaria una norma che vieti di indossare simboli religiosi che ledano la dignità delle donne e limitino l’integrazione e la piena fruizione del percorso formativo». E ciò «anche alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 16 maggio scorso che ha respinto il ricorso di alcuni genitori contro il divieto imposto dalla legislazione fiamminga in Belgio». «In Italia – spiega – non esiste una legge specifica. Un singolo Ufficio scolastico regionale non può interpretare la norma mancante né disporre un divieto. Scriverò al Ministero per chiedere che siano fornite indicazioni uniformi a tutte le scuole, anche in assenza di una norma nazionale».

Dal suo canto, l’assessora regionale all’Istruzione Alessia Rosolen trova «ancor più grave, e su questo ritengo vada fatta con urgenza una riflessione prima politica e poi legislativa, l’espressione utilizzata rispetto ai programmi “diversificati” e all’adozione di prassi speciali per evitare che le ragazze straniere abbandonino la scuola». «Perché – rileva – è questo il vero problema che si nasconde sotto al niqāb». Che «non deve trovare posto nelle nostre scuole» né in una «società che si basa su dignità e rispetto, su uguali doveri e medesime opportunità».

Per Rosolen la dirigente del Pertini agisce nell’alveo delle norme ed è sulle norme che bisogna agire, «non sugli effetti della loro mancanza, abbandonando le persone alle proprie responsabilità».

Inoltre altri Paesi hanno legiferato. Il consigliere regionale forzista Roberto Novelli invita poi a «non sottovalutare o minimizzare quanto avviene al Pertini», perché «non c’è anticamera che tenga: il niqāb a scuola cozza con la nostra cultura». E «se iniziamo ad abbassare la guardia, lo sdoganiamo», pur essendo «la negazione della libertà». E quindi lancia in resta: «Siamo pronti a depositare atti in ogni sede per combattere questa battaglia di civiltà».

Prende posizione infine Roberto Mugnai, vicepresidente DirigentiScuola: «Gli studenti devono essere accompagnati nel loro percorso al rispetto delle differenze, alla convivenza e al dialogo, in un quadro di principi condivisi, come la Costituzione e le norme fondamentali dell’Unione europea». Obiettivi «da perseguire non eliminando le differenze, ma educando alla diversità e al dialogo». «Il rischio vero – termina – è di rafforzare tra gli studenti atteggiamenti di pregiudizio e diffidenza verso compagni “diversi” per origini e tradizioni culturali e religiose». —

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