Don Dante: «L’esperienza in Africa insegna che il lamento serve poco»
Carraro, sacerdote cardiologo e direttore di Cuamm, sul palco: «Il mio sogno è che siano sempre di più gli africani a poter provare orgoglio nell’aiutare loro stessi»

Ad avvicinare chi ascolta Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, al cuore di quel continente, alle sue sfumature, alle sue necessità più concrete e radicate e soprattutto al suo diritto al presente e al futuro, sono gli intrecci di umane storie e scorci che il sacerdote e cardiologo sa raccontare, con intensa esperienza e partecipazione.
L’incontro
Sabato pomeriggio a Next, nell’incontro “Dal lamento al rammendo. Cosa ci insegna l’Africa”, dialogando con Francesco Codagnone, giornalista del Piccolo Gruppo Nem Nord Est Multimedia, Don Dante, di origini venete, insieme a Cuamm da trentun anni, ha dato voce a un continente di cui si parla, troppo spesso, solo attraverso stereotipi e fragilità, o di cui non si parla affatto o sempre meno, tra altri drammi dell’attualità, che però si riflettono anche l’uno sull’altro.
E nella sua panoramica, il sacerdote ha portato alla luce un’Africa viva e pulsante, stanca, colpita profondamente dalle proprie difficoltà, ma – e questo è ciò che molto gli preme trasmettere – anche in grado di far emergere esperienze di resilienza e capacità di trasformare quelle difficoltà in possibilità.
Medici con l’Africa Cuamm da 75 anni realizza progetti a lungo termine in un’ottica di sviluppo, nelle aree più fragili, con la formazione in Italia e in Africa delle risorse umane dedicate, con la ricerca e la divulgazione scientifica e con l’affermazione del diritto umano fondamentale della salute per tutti.
L’immagine simbolo
Don Dante Carraro si emoziona davanti alla proiezione di una foto di un gruppo di studentesse africane che diventeranno ostetriche, con la formazione sul territorio implementata da Cuamm e che, indossando una maglietta con la scritta “Mother and baby our priority”, madre e bambino sono la nostra priorità, pongono in essere un obiettivo primario, in paesi in cui è altissima la mortalità neonatale e in cui donne, sovente giovanissime, per dare la vita a figli perdono la loro.
E non sono “dettagli”, nel racconto, quelli come sul gasolio che non può mancare o un’ambulanza (rarissima dove mancano strutture sanitarie) non potrà raggiungere un bambino. E, nel segno della resilienza e della speranza, sono grandissime, appunto, le realizzazioni non solo personali, ma di ampiezza collettiva, come quella di Gordon, giovane ostetrico del Sud Sudan che, con orgoglio sente di dare il suo contributo alla sua gente, in realtà in cui cesareo e una trasfusione, che le vite potrebbero salvarle, non dovrebbero essere impossibili o troppo distanti.
E Don Dante, alla domanda su quale sia il suo sogno, dice, emozionandosi: «È che siano sempre più gli africani a poter provare lo stesso orgoglio di Gordon, nell’aiutare loro stessi, la loro Africa».
La missione
Se una mamma, sottolinea, può portare in braccio il figlio, camminando per quattro ore, alla ricerca di aiuto, come possiamo noi, nella nostra mission, lasciarci prendere dallo sconforto? E spiega che quello che l’Africa insegna, o almeno a lui ha insegnato, è che il lamento serve poco e che ciò che fa la differenza sia passare dal lamento al rammendo. Trovare strade nuove per dare valore a quanto ci sembrava perduto. Mettere alla prova tutti gli schemi fissi, compreso un certo delirio di onnipotenza occidentale.
Quel rammendo è una consapevolezza di come in realtà profondamente lacerate e prive di servizi sanitari, la cucitura concreta e non solo simbolica di una ferita, e creare connessioni, sia un qualcosa su cui sia possibile poggiare i piedi per compiere, insieme, accanto, un passo dopo l’altro.
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