Addio a Ben Coleman eroe della Stefanel di De Sisti e Puglisi venerato dai tifosi

Due giorni fa, a 57 anni, la morte del giocatore di Minneapolis Le commosse parole del suo “fratello italiano”, Benito Colmani 

IL RICORDO



Anche gli eroi qualche volta devono deporre le armi. Per una generazione di tifosi triestini, Ben Coleman è stato un eroe. Un fisico scolpito per giocare a basket, 204 centimetri veri (secondo le guide Nba erano 206 ma nel viaggio verso l’Europa all’epoca i lunghi si “rimpicciolivano”...), 107 chili, un lungo clamorosamente moderno con trent’anni di anticipo.

Ben se n’è andato due giorni fa. Aveva appena 57 anni. È morto nella sua Minneapolis e la notizia si è diffusa presto nella Rete. Lo hanno pianto in tanti. Ricordi, belle parole, commozione sincera. Le ultime foto risalgono a poche settimane fa: un uomo sereno, il fisico statuario si era imborghesito con gli anni, l’affetto dei familiari e degli amici.

Scelto dai Chicago Bulls al secondo giro del draft 1984 con il numero 37, Coleman non aveva ottenuto subito una chance dalla Nba. Come si usava, l’alternativa era un buon contratto europeo. Arrivò nella Stefanel Trieste di Mario De Sisti. Tim Dillon, Gianni Bertolotti, Fischetto, Bobicchio. Boris Vitez che lo piange: «Addio amico mio. Avremmo dovuto rivederci presto».

Tra i compagni di allora, un giocatore al quale uno scherzo del destino lo aveva indissolubilmente affiancato. Benito Colmani. Quasi la traduzione italiana. «L’ho sempre considerato il mio fratello americano – racconta, commosso –. Gli avevo inviato gli auguri di Natale, mi aveva risposto la figlia. Mi era sembrato strano che non lo facesse direttamente Ben ma non avrei potuto immaginare che lo avrei perso dopo pochi giorni. Era un personaggio straordinario. Probabilmente il lungo più forte visto con la maglia della Pallacanestro Trieste».

Difficile dare torto a Colmani. Coleman era un’ala forte, eccellente rimbalzista, ottima mano, sapeva usare bene il fisico e aveva una velocità notevole per un lungo. All’epoca gli stranieri erano solo due per squadra e una doppia doppia stabile era comunque il passaporto per la venerazione dei tifosi. Due stagioni a Trieste per Coleman, la prima intera e la successiva parziale, intervenendo in corsa per cercare di salvare la Stefanel di Santi Puglisi. Venti punti e quasi 11 rimbalzi.

Continua Colmani: «Pochi lo sanno ma Ben era mio ospite a pranzo e a cena in quegli anni. Arrivava nella trattoria di famiglia spesso accompagnato da belle figliole. Era una persona generosa. Quando seppe della tragedia di Cernobyl alla Cnn, sentendo che la nube rischiava di interessare anche la nostra area, mi telefonò per invitare me e la mia famiglia a metterci in salvo a Minneapolis. Lo tranquillizzai ridendo ma quel ricordo rimane una delle immagini più care che mi legano a lui. Rientrato negli Usa e smesso con il basket, aprì un negozio di sartoria e scarpe italiane. Volle chiamarlo .Colmani. Quando dopo l’esperienza Nba tornò in Europa, a Barcellona, capitava che mi telefonasse la sera. «Benito, prendo l’aereo, tu fammi trovare scampi e brachetto e poi andiamo al Mandracchio».

Della sua esperienza nella Nba, con le maglie dei Nets, dei Sixers e poi dei Milwaukee Bucks e uno scampolo anche a Detroit, Ben Coleman inviava agli amici triestini ritagli e fotografie. «Ricordo una foto in cui Ben soverchiava Charles Barkley. Intendiamoci, Charles Barkley, mica un pinco palla…» Aveva smesso a 36 anni nella Cba e si era messo a insegnare basket. «Insegnava a giocare a ragazzi difficili nella sua Minneapolis. L’ho detto: il mio Ben era una persona buona». —





Riproduzione riservata © Il Piccolo