Clay-Liston, 50 anni fa cambiò la boxe

TRIESTE. Cinquanta anni fa a Miami, in Florida, cambiava la storia del boxe. Il 25 febbraio sul ring il campione mondiale dei massimi, Charles Sonny Liston affrontava il personaggio che avrebbe caratterizzato il pugilato per i prossimi decenni, l'ancora giovane Cassius Marcellus Clay, medaglia d'oro nei mediomassimi ai Giochi di Roma, e sfidante sfrontato del campione che più faceva paura a quei tempi.
Sonny Liston è stato il pugile più potente, con grande capacità di incassare colpi e con capacità distruttiva che mai si videro sul quadrato. Era dato, Sonny Liston, favorito da tutti perchè aveva massacrato tutti gli sfidanti al titolo da cinque anni in qua. Floyd Patterson non aveva resistito nemmeno un round intero ai colpi del moro dell'Arkansas.
Clay aveva provocato Liston già qualche mese prima, ma in verità era terrorizzato dagli sguardi del campione. Charles Liston era un analfabeta, figlio di un raccoglitore di cotone, aveva 26 fratelli e forse più. Era un uomo in mano ai mafiosi, varie volte ospite delle prigioni federali. Dicono fosse nato in Arkansas nel 1932, ma chi lo conosceva da giovane racconta che aveva forse una decina d'anni in più. Fatto sta che era il più temibile boxeur del dopoguerra, bravo anche a schivare oltre che a colpire con una violenza inusitata. Vinceva per ko nei primi minuti, scagliava fuori dalle corde i malcapitati che gli si paravano davanti. Patterson dovette concedergli la chance mondiale solo perché costretto dall'opinione pubblica e da una promessa ufficialmente fatta al presidente Kennedy. Per il buon Floyd fu il massacro.
E si arrivò al 25 febbraio del 1964, a Miami. Clay danzava tra le corde e Liston lo seguiva cercando di trovarlo per un attimo fermo e quindi colpirlo. Clay attuava la sua boxe contro il Brutto Orso: leggero come una farfalla e pungente come un'ape. Liston pareva più tranquillo del solito e non mostrava la sua violenza. Qualche jab d'incontro aveva fatto capire a Clay che non era il caso di prenderla al leggera, anche se aveva portato qualche diretto contro il campione. Poi, finita la sesta ripresa, Sonny Liston non si alzò dal seggiolino, accusava un dolore alla spalla e non si riteneva in grado di proseguire il match.
Eppure, raccontano, Liston aveva un capacità di sopportare il dolore fuor dal comune: aveva tenuto a bada un avversario per dieci round pur con la mascella fracassata. Dicono che così volle la mafia Usa che controllava la boxe. Liston non piaceva alla gente perché negro e delinquente. Meglio puntare su un nome nuovo. La società che gestiva la carriera di Clay era al 49 per cento di Sam Giancana, l'uomo che passava a Liston parte delle cifre vinte con la scommesse. E Liston era contento così perché non aveva più voglia di soffrire in allenamento ed era stanco di dare e ricevere pugni. Aveva un moglie, Geraldine, e tre figli, un paio di ville da sogno, automobili di lusso, un conto in banca e voglia di ubriacarsi. Era stato arrestato tre o quattro volte per guida in stato di ubriachezza e violenza verso i poliziotti, aveva passato notti in guardina ma era uscito sulla parola o dopo aver pagato la cauzione. Insomma, Liston era sul viale del tramonto e Clay il campione bello ed elegante da proporre al pubblico. Poi Clay era cambiato nel nome, diventando mussulmano nero come Muhammad Ali, aveva allontanato certi organizzatori equivoci e si era affidato ai Blackout Muslims dei guru afroamericani.
L'anno dopo, nella rivincita disputata nel Maine su un ring di una località semisconosciuta e davanti a poche migliaia di spettatori, la farsa s'era ripetuta: Liston era crollato al tappeto già nella prima ripresa, colpito da un pugno fantasma che neanche le riprese tv erano riuscite a fermare. Infine Charles Sonny Liston, uno dei grandi e misconosciuti campioni dei massimi, fu trovato morto nel 1970 con una dose di cocaina in corpo da far stramazzare un toro. Ma lui gradiva il whisky, mica la droga. Indagini veloci e sommarie stabilirono che morì di overdose. Pace all'anima di un gigante terribile sul ring ma che, normalmente era gentile verso tutti. Purché non dovesse fare a botte.
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