La Corsa della Bora un’emozione unica per Maurizio Glavina
Nel corso del 2017 è stato il solo triestino a portare a termine la corsa di 167 chilometri sul Carso svoltasi in pieno inverno

TRIESTE. Una vita dedicata alle corse: prima sulle quattro ruote e ora nel silenzio della natura. Maurizio Glavina è l’unico triestino che lo scorso anno è riuscito a portare a termine Ipertrail, la gara di 167 chilometri, punta di diamante de La Corsa della Bora.
L’evento di trailrunning, che tornerà il 6 gennaio, ha visto l’ultramaratoneta della categoria M60 trascorrere due notti in autosufficienza in zone sperdute del Carso. In pieno inverno, con raffiche di Bora e acqua che si congelava nelle borracce per il grande freddo, Glavina ha corso in solitaria seguendo la traccia del suo Gps.
Correre è sempre stata la sua vita e il suo mestiere. Ma prima era una questione di motori, di macchine da rally, di ore in officina e prove sulle piste. A un certo punto è scattato qualcosa e ha scoperto una nuova passione. L’innamoramento risale a un Natale di dieci anni fa e ha avuto come complice un impietoso responso della bilancia... «Per la prima volta sono andato a correre nel circuito di Basovizza - racconta Glavina -. Pian piano ho iniziato a confrontarmi con altri amici ed è cresciuta la voglia di stare al loro passo. Un paio d’anni dopo quelle prime sgambate ho scoperto casualmente il sentiero 3 e la mitica Cavalcata Carsica. Ho deciso di parteciparvi ed è così che ho portato a termine la mia prima gara. È stata un’emozione stupenda».
L’appetito vien mangiando e quella prima “cavalcata” è diventata il preludio di una serie di prove, grazie alle quali le prestazioni del triestino sono progressivamente migliorate, con ripetuti piazzamenti nelle prime cinque posizioni di categoria. Per ottenere il miglior risultato e per vivere la sua più bella esperienza agonistica, Glavina non ha dovuto fare molta strada. È stato il Carso con La Corsa della Bora a regalargli emozioni uniche. «Ciò che mi ha spinto a iscrivermi è stata l’impostazione data a questa gara – spiega -. Penso al fatto che non sono previsti ristori e che si può contare solo sulla fantomatica cassa». Anche Glavina, così come gli altri concorrenti provenienti da tutta Europa, ha infatti dovuto scegliere prima del via cosa mettere in una cassa di legno a sua disposizione, che poi ha ritrovato in punti prestabiliti lungo il percorso. «Mi è piaciuto prepararla - ammette -. Ci ho messo barrette, formaggio grana, bresaola, miele e frutta secca. Le cose che mi fanno stare bene».
Questo è stato il suo carburante per le 36 ore ininterrotte di gara. Un piatto caldo di jota, mangiato nell’unico ristoro previsto nel cuore del Carso sloveno, è stata la sola comodità che Glavina si è concesso prima di affrontare la seconda notte all’aperto. «La seconda notte è stata memorabile – ricorda -. Ricca di sensazioni e visioni. La mente fantasticava grazie al freddo e ai rumori degli animali che scappavano e ai fruscii del vento. Ed è stato lì che ho vissuto l’unico momento di crisi, forse per una sosta troppo lunga». Ma la magia di quella notte si è conclusa con un finale imprevisto: all’alba, con l’ultima trentina di chilometri da percorrere, Glavina ha incrociato Cristiana Follador, la campionessa che lo scorso autunno ha conquistato la Skyrunning Italia Ultra Series. «Con la campionessa veneta andavamo sciolti – confida Glavina -, chiacchierando e correndo senza fatica. Le gambe non sembravano neanche le mie. L'ho guidata sul sentiero 3, che conosco bene. E così siamo arrivati fino al traguardo che abbiamo tagliato praticamente assieme». Il triestino si è piazzato settimo assoluto, in una gara che ha visto il ritiro di tre quarti degli atleti partiti. Un’esperienza indimenticabile, che proprio per questo Glavina non è intenzionato a ripetere: «Ho attraversato posti bellissimi e vissuto sensazioni ed emozioni forti, che rimangono per tutta la vita – spiega -. Voglio tenerle così, perché no volesi rovinar la torta».
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