Quelle lacrime alla radio figlie di un’umanità che fa breccia nel web

di STEFANO TAMBURINI C’è molto più che una lacrima che riga il viso e incrina la voce nel saluto di un radiocronista che sta per spegnere per l’ultima volta il microfono e arrendersi al pensionamento....
Di Stefano Tamburini

di STEFANO TAMBURINI

C’è molto più che una lacrima che riga il viso e incrina la voce nel saluto di un radiocronista che sta per spegnere per l’ultima volta il microfono e arrendersi al pensionamento. Per chi se lo fosse perso, anche se non c’è più l’immediatezza della diretta, val la pena di andare a cercare il pianto di Ugo Russo, il radiocronista Rai giunto all’ultima tappa del suo lavoro a “Tutto il calcio minuto per minuto”: è in rete a regalarci ancora emozioni che vanno oltre a quelle di chi le stava vivendo. Russo, 64 anni da poco compiuti, sta raccontando Livorno-Trapani, una specie di sagra del gol, ma fin dall’inizio, dopo l’omaggio dello studio centrale e l’onore del campo principale, quello che una volta era di Enrico Ameri e poi di Sandro Ciotti, si comprende che c’è dell’altro.

Prima l’autocelebrativo incipit: Buon pomeriggio a tutti voi cari amici ascoltatori, il mio verbo torna a titillare i vostri padiglioni auricolari dallo stadio Armando Picchi da dove rifrangerà eventi e situazioni del match Livorno-Trapani, valido per l’ottava giornata di andata del campionato italiano di calcio, divisione nazionale serie B», riadattato da quello della sua prima radiocronaca. E poi, alla fine, un singhiozzante «vi porterò sempre nel cuore» che è molto più che un abbraccio virtuale alle milioni di persone che in 42 anni di carriera hanno avuto modo di ascoltarlo, di “vedere” la partita attraverso la sua voce. Sì, vedere, perché quando è ben fatta – e quelle di Ugo Russo erano e sono ben fatte – una radiocronaca riesce a farti essere lì, che sia un campo di calcio o di rugby, un parquet olimpico o un Giro d’Italia di ciclismo.

Le sue lacrime sono state subito adottate dal web, in un colossale abbraccio che mette insieme il più antico fra i moderni mezzi di comunicazione e quello più nuovo. La radio che ha attraversato le guerre e che ci ha regalato le prime emozioni a distanza e che è ancora lì in tutto il suo calore per i sentimenti.

Unica nel suo genere, irripetibile e insostituibile. Il nuovo che avanza, al massimo, può inglobarla, farla sua con tutte le sue emozioni. Non sostituirla, perché i sentimenti non si fabbricano.

In questo caso i sentimenti sono quelli di un giornalista per una professione che è soprattutto passione. È vero che non per tutti i colleghi è così, ma per quelli veri lo è. E come se lo è.

Il distacco è difficile e lo è ancor di più se il contatto è immaginario come quello della radio, per giunta in un posto simbolico (per lui) come Livorno dove appena poco più di tre anni fa, il 4 settembre del 2011, Russo aveva rischiato di morire per un ictus che lo aveva sorpreso prima di un’altra radiocronaca. Chiudere la carriera proprio lì forse ha aggiunto emozioni al turbinio che lo accompagnava da giorni e giorni.

Quello di Russo è un pianto che fa riflettere anche sulla crudeltà di certi distacchi radicali da professioni che finiscono per diventare un tutt’uno con le persone.

Si può spegnere il tasto di un microfono ma difficilmente si può farlo con una penna o con queste voci cordiali che sembrano non conoscere i rigori del tempo.

Per questo, privatamente, a Ugo Russo ieri ho scritto una lettera, come quelle che si mandavano una volta. E per dirgli grazie aggiungo anche questo vecchio articolo di giornale, su carta e sul web. Pieno di emozioni, certo, ma neanche paragonabili a quelle che Russo con la voce rotta dal pianto ha saputo comunicarci attraverso la cara, vecchia, intramontabile radio.

@s__tamburini

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