Valentina dall’Oma al Canada «Il basket è la mia passione Ora resto qui per lavorare»

TRIESTE
I primi passi sul parquet con la maglia dell'Oma a dodici anni, gli anni alla Sgt, l'esperienza con la Reyer, le estati vissute sudando con la canotta delle nazionali giovanili, i campionati di A2 con l'Interclub Muggia in cui si impose come una playmaker contraddistinta da una cattiveria agonistica fuori dal comune. Queste sono solo alcune delle tappe della carriera di Valentina Primossi, classe 1991, prima che la ragazza triestina nel 2013, grazie ad una borsa di studio, sbarcasse oltre oceano per studiare e giocare a pallacanestro alla Cape Breton University, in Nuova Scozia (Canada).
Valentina, partiamo dagli studi e dal tuo presente lavorativo...
«Prima ho conseguito la laurea triennale in scienze politiche, poi nella primavera del 2018 il master in bussiness administration. Lì mi sono trovata ad un bivio: tornare in Europa per continuare a giocare a basket o fermarmi in Canada a lavorare? Ogni dubbio è stato spazzato via dalla proposta di Mike Sandalis che mi ha offerto un contratto per entrare a far parte di un “Innovation team”, che si può definire la start up nella confederazione, con sede ad Halifax . Ho accettato e ancora oggi faccio parte di un team affiatato e coeso, alla cui guida sviluppo strategie che mirino a soddisfare le nuove esigenze dei clienti».
Passiamo all'ambito cestistico, qual è il tuo bilancio dei cinque anni vissuti alla cabina di regia delle Capers?
«Sono state stagioni che non scorderò mai. Quando arrivai nel 2013, coach Fabian si ritrovò tra le mani un team di 12 atlete molto giovani, con ben 9 nuove arrivate. Il coach aveva le idee chiare, creare e crescere una squadra con la “S” maiuscola per riportare il titolo della Atlantic Conference a Cape Breton. Obiettivo riuscito».
Dopo la finale persa nel 2016, il 5 marzo 2017 vinceste infatti il titolo, qualificandovi alle finali nazionali...
«La finale con Acadia si giocava sul filo dell'equilibrio, poi a 3'20” dalla sirena segnai una tripla, difendemmo egregiamente sul contrattacco avversario e arrivati dall'altra parte del campo realizzammo altri due punti. Lì il match era virtualmente chiuso, gestimmo senza patemi gli ultimi minuti e poi esplodemmo di gioia».
Le differenze principali tra le tue annate italiane e l'esperienza canadese?
«Oltre oceano il basket è più fisico e la palla circola più velocemente. All'università le giocatrici sono trattate come professioniste: strutture all'avanguardia, allenamenti serrati ma organizzati in base alle proprie esigenze di studio».
Passando alla stretta attualità, come stai vivendo l'emergenza corona virus e dove ti vedi nel prossimo futuro?
«Credo che almeno altri tre anni li vivrò qui in modo da poter richiedere la cittadinanza canadese poi chissà... nelle ultime settimane anche qui lavoriamo da casa ed è tutto chiuso a parte i supermercati: sento quotidianamente la mia famiglia e spero sinceramente che la situazione possa tornare alla normalità». —
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