Renzi si è dimesso, la parola a Mattarella

Oggi le consultazioni con i presidenti di Camera e Senato, Grasso e Boldrini. Il premier uscente: «Pronti al voto dopo Consulta, o un esecutivo con tutti»
Il premier Matteo Renzo con il capo dello Stato Sergio Mattarella in una foto d’archivio
Il premier Matteo Renzo con il capo dello Stato Sergio Mattarella in una foto d’archivio

ROMA. Le battute che chiudono il mandato di Matteo Renzi evocano un ritorno al privato e alla sua Firenze: la festa di compleanno della nonna ottantaseienne, il torneo con i figli alla Playstation. Ma il premier - che alle 19 arriva al Quirinale per consegnare le proprie dimissioni al capo dello Stato, «pronto cedere il campanello» al suo successore - non sembra affatto disposto a rinunciare al capitale di 13 milioni e mezzo di voti incassati con il referendum, né a passare la spugna sui risultati del suo governo, che condensa nello slogan «meno tasse, più diritti».

Si apre il fuoco incrociato su Serracchiani
La presidente della Regione Debora Serracchiani

È per questo che, se il Pd sarà chiamato ad assumersi la responsabilità di guidare il nuovo esecutivo, Renzi vuole che il peso sia condiviso da altri partiti: «Per non sentirsi dire che questo è il quarto governo non eletto» o «il terzo governo figlio del trasformismo».

Dopo il trauma della sconfitta, nulla è più escluso, neppure che sia proprio Renzi a tornare a palazzo Chigi fino a nuove elezioni, ipotesi inizialmente esclusa che con il passare delle ore sembra invece prendere corpo, perché in Parlamento il Pd ha i voti per sostenere il suo campione. Chiunque egli sia.

Il premier caduto sulla via del referendum costituzionale mette fine alla parabola del suo governo al grido «Evviva l’Italia» dopo avere incassato il via libera alla manovra in Senato. La legge di bilancio da 27 miliardi passa a Palazzo Madama con la fiducia posta a nome dell’esecutivo dal ministro Maria Elena Boschi che, accolta dal brusio dei presenti, lascia l’Aula immediatamente. Il ddl viene approvato con 173 sì e 108 no, senza modifiche rispetto al testo licenziato dalla Camera e senza astenuti.

Referendum, in Fvg affluenza del 72.5%, No vincente al 61%
Domenica di voto per quasi un milione di elettori in regione

Il voto è il penultimo atto formale prima dell’intervento di Renzi alla direzione del Pd riunita alle 17.30 al Nazareno, che precede la salita al Colle dove il presidente Sergio Mattarella incontra il premier dimissionario per 40 minuti.

Una durata che fa presumere qualcosa più di una semplice formalità. La crisi, dunque, è formalmente aperta, il governo resta in carica per gli affari correnti. A partire da oggi, alle 18, il capo dello Stato darà inizio alle consultazioni con il presidente del Senato, Pietro Grasso, la presidente della Camera, Laura Boldrini, e il presidente emerito, Giorgio Napolitano. Il “giro” si chiuderà sabato con Forza Italia, M5s e Pd.

Ma le posizioni sono note. Movimento 5 Stelle e Lega continuano a chiedere elezioni subito e Renzi, prima sulla sua “eNews”, quindi davanti ai suoi al Nazareno, non si tira indietro e dichiara di essere pronto ad andare alle urne.

Riforma affondata Renzi si dimette
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«Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti - dice dopo essere stato accolto dall’applauso della direzione dem - Adesso si apre la crisi, abbraccio affettuosamente i commentatori che hanno detto che faccio melina per non dimettermi, e sono gli stessi che oggi hanno detto che non mi dimetto nonostante al Senato ci sia la fiducia».

Renzi, che poco prima al telefono ha sentito e ringraziato Napolitano, mette in campo la disponibilità del Pd, «partito di maggioranza relativa» a «dare una mano al presidente della Repubblica a chiudere la crisi». Ma non ci sta a fare l’agnello sacrificale: «Noi non abbiamo paura di niente e di nessuno, se gli altri vogliono andare alle urne dopo la sentenza della Consulta (martedì 24 gennaio 2017, ndr), lo dicano».

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Si andrebbe così al voto con le attuali leggi elettorali come modificate dalla Corte Costituzionale. «Se invece vogliono un nuovo governo «che affronti la legge elettorale e gli appuntamenti internazionali che abbiamo, il Pd è consapevole della propria responsabilità - sottolinea Renzi - Abbiamo già pagato il prezzo della solitudine, e anche gli altri partiti devono caricarsi il peso».

È questa dunque la linea, subito bocciata dalle opposizioni, che i dem sosterranno al Quirinale, dove il Pd sarà rappresentato dal vice segretario Lorenzo Guerini, dal presidente Matteo Orfini e dai due capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda, con la direzione convocata in modo permamente.

Renzi si assume «tutte le responsabilità» per l’esito del referendum, ma rinvia alla conclusione della crisi il confronto interno, che annuncia «molto duro» e in diretta streaming, per essere trasparenti in un momento di «incredibile boom» delle richieste di iscrizioni: «Capisco che non c’eravamo più abituati» scherza.

A chi ha «festeggiato in modo prorompente» la sconfitta, manda a dire che rifiuta il vittimismo. «Il cammino del Pd non si ferma qui - assicura - Chi ha fatto la maratona sa che la sfida si vince prima con la testa e poi con le gambe». Ma nonostante il suo richiamo al «cammino» che riprende, la decisione di non aprire immediatamente il dibattito scatena malumori.

Il senatore Walter Tocci, che si è iscritto a parlare, viene convinto a desistere: «Mi viene il dubbio che lo spostamento della riunione dalle 15 sia stato per evitare le discussione...» commenta, mentre la minoranza Pd preferisce non esprimersi: «Oggi viene prima l’Italia, ma ci aspettiamo che il prima possibile si trovi il modo e il luogo per avviare la discussione sul voto».

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