Tutti gli abiti di Eleonora Duse

di Giovanna Pastega
VENEZIA
Eleonora Duse e la moda, un binomio indissolubile che tra alterne vicende e colpi della sorte segna la storia della grande diva sulla scena e nella vita. I suoi abiti raccontano il carattere, le abitudini, i vezzi, le estrosità ma anche le vicissitudini drammatiche e felici della “divina” lungo tutta la sua vita. «Durante la giornata il suo vestire era trasandato: cappello di traverso, mantelli larghi, veli lenti, bluse male abbottonate al giudizio di tutti. A teatro era un’altra, accurata, vigilata. Contava la sua arte d’attrice, lo studio e la fatica di apparire sulla scena sincera, schietta, l’anima nuda, senza artificio»: così ne parla sul finire dell’800 il giornalista Ugo Ojetti.
Sembra essere una Duse in perenne conflitto tra l’essere e l’apparire. In realtà la sua immagine almeno agli esordi doveva fare i conti con le ristrettezze economiche delle sue prime prove d’attrice. Notata dalla critica per le sue doti recitative non le vengono risparmiati apprezzamenti poco lusinghieri sul vestiario. Scrive Il Mattino di Napoli a fine anni ‘80: «Quest’attrice è povera e modesta. Passa per la via in una succinta gonna nera, uno sciallettino grigio stretto alla persona, il cappellino di paglia nera, scolorito, roso alle orlature».
Quando il successo comincia a dare i suoi frutti anche in termini economici il suo abbigliamento inizia a mutare. Nel bel saggio “Vestiti nella vita, costumi sulla scena” Doretta Davanzo Poli scrive: «Osservando le rare foto che di lei rimangono degli inizi degli anni ‘80 si nota come Eleonora segua la moda dell’epoca con un’eleganza semplice, sobria che invece andrà complicandosi e involgarendosi nel ventennio seguente. Il successo le permette infatti di vestire con sempre più evidenti disponibilità economiche, cui spesso non corrisponde altrettanto buon gusto. Prende quel che di più vistoso ed eccentrico la moda offre: tournures e sellini accentuati, guimpes arricciate, decorazioni sovrabbondanti di galloni, frange di perline e di passamaneria, ricami di giaietto, balze, volani, fiocchi, nastri,merletti. Eccede in collane e bracciali, guanti lunghissimi, cappellini e ventagli piumati».
A confermare le stravaganze nel vestire della Duse un articolo del 1885 apparso ne L’Illustrazione italiana che da ampio spazio all’insolito abbigliamento dell’attrice sorpresa con il marito in villeggiatura: «Cappello mascolino con banda a forti colori verticali; giacca-scrollina di lana a mezza tinta stretta alla vita di dietro, cadente sul davanti; otto bottoni. Abolizione completa di qualunque apparente corset o gilè; in cambio camicia riccamente ricamata. Fichu a tinte smorte che richiamano la banda del cappello. Veste di mussolina semplice senza volants, senza ornamento alcuno. Abolizione del parasole. Certo una simile toilette non sarà consigliabile per qualche grassa e grossa marchesa; ma per chi ad una taglia svelta,elegante,vaporosa unisce l’indifferenza coquette dell’indossare un abito, è adattissima».
Dalla modestia degli esordi agli eccessi delle prime affermazioni. A sottolineare questo cambiamento sulla scena accostamenti vivaci di colori, decorazioni esagerate, brillanti sparsi un po’ovunque: una sovrabbondanza nel vestire che le da sicurezza e che influisce persino sul suo modo di recitare. Non sono ancora gli anni in cui la Duse – ormai ricca e famosa - si affiderà ai grandi couturiers internazionali. Il suo abbigliamento nei primi anni ’90 è ancora senza “classe”. A sottolinearlo senza mezze misure un giornalista americano dell’Herald che definisce i suoi abiti di scena “banali sino al limite della bruttezza”. L’eccesso, il kitsch sembra essere una costante sulla scena: dalle ricostruzioni esotiche quasi al limite del ridicolo della Cleopatra alla sovrabbondanza decorativa della Francesca da Rimini, per il cui debutto si chiacchierava avesse speso oltre 200.000 franchi,1 miliardo e 321 milioni di vecchie lire. Travolta dalla passione per il Vate Eleonora spenderà cifre folli negli allestimenti dannunziani, non rientrando mai dalle spese di rappresentazioni quasi sempre fallimentari.
«Per la Francesca da Rimini – sottolinea Maria Ida Biggi Direttrice del Centro Studi sul Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia – aveva speso un capitale ma certo non andò in rovina. All’epoca la Duse era ricchissima, si poteva permettere di spendere cifre considerevoli senza battere ciglio. Non è assolutamente vero che D’Annunzio la mandò in rovina come si chiacchierava all’epoca».
Siamo agli inizi del ‘900. Sono gli anni in cui la Duse inizia a frequentare gli Atelier più famosi, gli scenografi e costumisti più in voga: da Fortuny a Worth, da Poiret alla Goncarova. «La Duse di questo periodo - spiega Doretta Davanzo Poli – si è ormai tolta di dosso fin l’ultima sfumatura dell’indigenza d’origine, è indubbia la sua estrema raffinatezza, la sua eleganza vera, senza pacchianerie. Sono di questo periodo gli abiti princesse dalle increspature guimpes, i veli di tulle evanescente, le tuniche morbide, le ampie cappe con risvolto di merletto ad ago di Venezia a rilievi barocchi, le sontuose pellicce, le toilettes dagli audaci décolletés, nonché i pepli classici e le medievali guarnacche».
I conti delle grandi sartorie documentano una diva che certo non badava a spese sia sul palcoscenico che nella vita. Eleonora si ritira dalle scene 1909 ricchissima avendo investito tutti i suoi soldi in una banca tedesca. Le operazioni finanziarie le rendevano molto e le davano grande agiatezza. Ma la Guerra travolgerà ogni cosa: la Duse perderà tutto. Per questo dovrà ritornare sulle scene. Le grandi firme spariscono, tornano le modeste sartine. Il momento è drammatico. Per affrontare la grande tournée americana che le dovrà ridare fama e fortuna chiede aiuto al suo amico Worth.
Le fasi di questo ritorno alle scene sono documentate da un fitto carteggio con lo stilista, in cui si parla di colori, tessuti, vestiti di scena ma anche di abiti personali. Con la tournée americana la Duse comincia a ripianare i debiti. Ma sulla strada del ritrovato successo incontrerà la morte nel 1924, lasciando alla figlia la bella casa di Asolo ma anche molti conti da pagare.
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