Zornitta: se incontro Unabomber non so come finisce

Zornitta: se incontro Unabomber non so come finisce
L'ingegnere Elvo Zornitta
L'ingegnere Elvo Zornitta
AZZANO DECIMO Riparare vecchi orologi. È una delle passioni di Elvo Zornitta. Un modo per provare a rivivere una domenica normale dopo anni di tensione, ansia e paura. Paura di non riuscire a trovare l’uscita di un tunnel profondo quasi sei anni. Il grande sospettato di essere Unabomber attende solo la convalida del Gip del tribunale di Trieste dopo la richiesta di archiviazione presentata dal pm Federico Frezza. Poi, il suo incubo sarà finalmente finito per davvero.


Barba lunga, «come piace a mia moglie» spiega, e un sorriso accennato, l’ingegnere aeronautico pordenonese, 51 anni, apre le porte della sua villetta di Corva di Azzano Decimo, interrompendo per un attimo proprio gli interventi di precisione su alcuni orologi. Vicino a lui, sopra un tavolino, ci sono dei piccoli cacciavite, il guanto bianco che sembra quello classico dei Ris e una lente d’ingrandimento.


Ingegner Zornitta, com’è cambiata la sua vita in questi anni?

È stato un calvario, che non ha avuto nulla da invidiare a un lungo periodo passato in carcere. Essere controllati 24 ore su 24, dovendo stare attenti ad ogni minimo gesto che si fa per paura di essere fraintesi, non è tanto differente dalla prigione. Anche andare a fare la spesa o recarsi in chiesa è diventato diverso.


In che senso?

Pensi che una volta, in un supermercato, una signora mi ha visto ed è immediatamente andata ad avvisare la cassiera, temendo chissà cosa.


Come è riuscito a reggere?

Grazie a mia moglie e mia figlia, ai parenti e agli amici veri, quelli con cui alla sera ti concedi qualche chiacchierata. E poi alla comunità del paese, che ci ha sostenuti.


A proposito di sua figlia, oggi dodicenne, avete tentato di tenerla fuori da questa storia?

Quando è iniziato tutto, nel maggio del 2004, io e mia moglie non le facevamo vedere la televisione. Poi, pian piano, con le troupe appostate fuori dal portone di casa, è divenuto impossibile. Abbiamo parlato con insegnanti e amici, chiedendo semplicemente un aiuto. Contemporaneamente le abbiamo spiegato cosa stesse accadendo: sarebbe stato sbagliato nasconderle tutto. Già così, ha iniziato ad avere frequenti emicranie ed a piangere ogni tanto. In questi giorni, invece, è allegra.


In tutto questo quadro, lei ha perso anche il lavoro.

Sono stato licenziato, quando è venuta fuori la storia del lamierino. Poi ho subito cercato un altro impiego, ma in tanti mi hanno risposto: «Scusi, ma è meglio se aspettiamo il giudizio, la fine di questa storia». Fino a quando un imprenditore locale non mi ha assunto perché gli serviva una figura professionale da destinare al controllo qualità.


Ha dichiarato di aver avuto anche pensieri cupi in questi anni. Cosa intendeva?

Quando uno non sa cosa fare per difendersi, come nel mio caso, rischia di impazzire. Se sei un criminale, puoi anche nascondere le prove. Se non lo sei, invece, non nascondi nulla e ti chiedi: cosa devo fare per evitare di essere indicato come attentatore? Ho tentato pure di contattare investigatori all’estero, dall’Inghilterra alla Svizzera ma non solo, ricevendo sempre risposte preoccupanti sul piano finanziario.


Ha pensato di farla finita?

Certamente sì. Fino al momento in cui sono andato da un mio amico e gli ho detto: «Non ce la faccio». Lui ha replicato: «Prima di te, c’è tua figlia».


Qual è stato il periodo più critico?

Dall’agosto del 2006 al gennaio 2007. Poi è emersa la manipolazione del lamierino (in un primo tempo gli inquirenti pensavano fosse stato tagliato con una forbice di Zornitta, ndr), che mi ha rasserenato.


Ha mai pensato a qualche complotto nei suoi confronti?

Mi sono fatto un esame di coscienza, alla fine del quale ho capito di non avere dei nemici. Dissapori sì, ma nulla di importante, che potesse motivare comportamenti talmente efferati.


Ma com’è che gli inquirenti, all’epoca, sono arrivati da lei?

Non lo so. Forse qualcuno avrà detto loro che avevo lavorato in un’industria di armamenti.


Sospetti da parte sua su qualcuno che abita nella stessa zona?

Per un motivo o per l’altro, con tutte le persone che si vedono, un pensiero è venuto ogni tanto. Ma non sono mai andato oltre, escludendo subito che si potesse trattare di un tale maniaco.


Si è fatto un’idea del profilo del bombarolo? Secondo lei, ha agito sempre da solo?

Che ci sia un folle, un megalomane del genere nel Nordest, può essere. Che ce siano due, anche. Ma che agiscano in team, riuscendo a custodire un segreto in modo così fermo, mi risulta difficile da credere.


In tutto questo tempo, ha mai ricevuto segnali strani dall’esterno. Come se provenissero dal vero Unabomber?

Mi sono giunte tantissime telefonate o lettere. Molte di solidarietà, qualcuna un po’ strana. Ricordo una missiva arrivata da Milano, su cui c’era scritto qualcosa del tipo: «Zornitta, ti sei cagato sotto?».


Timori di finire a sua volta nel mirino del bombarolo?

Sì, quando mi sono esposto ai media. Ma ho scelto di farlo per due ragioni: le assicurazioni di protezione da parte della comunità locale nei confronti di mia figlia e la riflessione che Unabomber non avrebbe avuto alcun vantaggio, in tema di fama, a fare un gesto del genere verso di me.


Perché sostiene che l’autore di questi crimini potrebbe colpire ancora?

Ciò che intendo dire è questo: bisogna domandarsi se c’è un motivo per il quale uno psicopatico così si debba fermare se è ancora in grado di colpire. Come è necessario capire perché sia stato fermo negli ultimi anni. È logica.


Spera che Unabomber sia morto?

Spero che gli sia accaduto qualcosa per cui non possa più colpire. Mi metto nei panni di quei genitori i cui figli hanno subito questi torti.


Ha avuto contatti con queste famiglie?

No, non li ho mai cercati. Sono stato anch’io vittima di Unabomber, ma queste persone lo sono state prima: ho voluto rispettare il loro dolore.


Vorrebbe incontrare il criminale un giorno?

Pensa che uno dei due uscirebbe vivo da un simile incontro? Ha rovinato per sempre la mia famiglia, la mia vita: io sono una persona tranquilla, ma quando qualcuno danneggia le persone a cui voglio bene, allora esplodo.


Che reazione avrebbe vedendo in tv la cattura del colpevole?

Sarebbe un evento che mi porterebbe ad alzare il telefono per congratularmi con le forze dell’ordine. La vera fine di un incubo.


Qualcuno dovrà pagare per averle fatto passare tutto questo, no?

Se ne occuperanno i miei avvocati. Per me non c’è cifra che possa ripagare tanta sofferenza e gli anni persi da una famiglia che ha dovuto fronteggiare difficoltà aggiuntive a quelle normali, di ogni giorno.


Festeggerà la ritrovata tranquillità con una vacanza?

No. Ho solo voglia di lavorare, di fare di nuovo quello per cui mi sono formato. Mi sono sempre occupato di ingegneria meccanico strutturalistica, pur avendo una laurea da ingegnere aeronautico. Intanto domani sera (questa sera, ndr) sarò ospite a Matrix, da Mentana, che mi ha chiamato personalmente l’altro giorno. Gli ho dimostrato che la sua fiducia era ben riposta.


Senta, ma si ricorda com’è iniziato tutto?

Sì. A partire dagli involucri porta-ovetti e dalla fialetta Paneangeli. A proposito, venga. Le faccio fare l scoop.


Prego?

Guardi, questo è un presepe che ho costruito negli anni scorsi. Ha sette-otto trasformatori e vari cavi sotto, per far funzionare lucette e led. Vede, ecco questa è la fialetta che trovarono qui gli inquirenti (simile a quella usata da Unabomber e che contribuì ad alimentare i sospetti, ndr): adesso la uso come luce per una delle casette in legno che lo compongono.

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