Addio a Luis Sepúlveda lo scrittore combattente che amava la poesia

Morto a 70 anni, per coronavirus, l’autore cileno de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” Condannato all’esilio da Pinochet, sempre dalla parte degli ultimi, ecologista, viveva in Spagna 
17/09/2017 Pordenone, Manifestazione letteraria Pordenonelegge, Luis Sepulveda, Scrittore
17/09/2017 Pordenone, Manifestazione letteraria Pordenonelegge, Luis Sepulveda, Scrittore

la biografia

Lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, 70 anni, è morto ieri nell’Ospedale centrale di Gijon, nelle Asturie, dove risiedeva da tempo. Dal 29 febbraio era ricoverato in terapia intensiva per coronavirus.



PAOLA DEL VECCHIO

Una vita di formidabili passioni. A svelarne gli ingredienti era stato lui stesso nell’omonimo libro autobiografico edito da Guanda, l’editore amico di sempre. Luis Sepúlveda, il cileno errante radicato nelle Asturie dopo la lunga stagione di impegno e d’avventura nel Cile di Allende, solcando i mari con i guerrieri di Greenpeace o in viaggio nel deserto di Atacama e nella gelida Patagonia, ha perduto la sua ultima battaglia. Contro un nemico infido e invisibile. Incrociato per caso lungo il suo instancabile cammino, fatto di scrittura, impegno politico, lealtà e amicizie, esilio, amore per l’ambiente e, sotto traccia, la passione per la vita stessa, che alimenta ogni riga scritta. La letteratura «come modo migliore per cancellare le frontiere». Nelle sue parole, l’unica che vale per dare voce a chi non ha voce, per raccontare storie di un mondo possibile.

Nato a Ovalle, in Cile nel 1949 e con sangue materno mapuche nelle vene, Luis Sepúlveda – «Lucho» per gli amici più intimi - lo ebbe chiaro fin da ragazzino, quando a 13 anni tradì il sogno di diventare calciatore per abbandonarsi a quello di un giovane e poi sbiadito amore. Ma che lo fecondò con la scoperta fulminante dei versi di Neruda. I primi anni della gioventù li aveva trascorsi a Valparaíso, col nonno paterno, anarchico andaluso, lo zio Pepe e le letture di Salgari, Conrad e Melville. I primi passi da scrittore al liceo di Santiago, con le poesie sul giornalino dell’istituto, alternate ai ciclostili in proprio di racconti piccanti, che poi vendeva ai compagni di scuola. Prima degli studi in produzione teatrale all’Università Nazionale del Cile, l’ingresso a 15 anni nella Gioventù comunista, dalla quale fu però espulso nel 1968. Poi, l’anno seguente, la borsa di studio all’Università Lomonosov di Mosca frequentata della nomenklatura: doveva durare 5 anni ma durò 5 mesi, perché gli fu ritirata per «atteggiamenti contrari alla morale pubblica».

Comincia così la sua vita di cileno errante. Con il diploma di regista teatrale allestisce spettacoli clandestini contro la dittatura, scrive racconti che, grazie a «un buon amico», pubblica nella prima raccolta Crónicas de Pedro Nadie, con cui vince il premio Casa de Las Americas. Riconosce la grande influenza iniziale avuta su di lui dallo scrittore cileno Francisco Coloane. Ed è anche sotto il suo influsso di esploratore che arriva a farsi impiegare come mozzo di cucina su una baleniera. Ma i suoi ricordi più fulgidi Lucho li ha sempre riservati al «compagno presidente» Salvador Allende, del quale - dopo l’ingresso nel partito socialista - divenne membro della guardia personale. Sepúlveda è al seguito del presidente quando, l’11 settembre 1973, il golpe di Pinochet mette fine all’esperienza socialista in Cile. Viene incarcerato e torturato. Riesce a ottenere la libertà condizionale grazie ad Amnesty International ma, dopo un anno in clandestinità, un nuovo arresto e la condanna all’ergastolo, è costretto all’esilio.

Dopo lunghe peregrinazioni attraverso l’America Latina – nel 1979 si arruolò nelle Brigate Simon Bólivar del Nicaragua sandinista - si trasferisce in Europa. Prima ad Amburgo, e poi a Gijon, nelle Asturie, dove ha vissuto durante gli ultimi due decenni con la compagna della sua vita, la poetessa Carmen Yáñez, che aveva sposato in prime nozze, da cui aveva divorziato e che aveva poi risposato dopo l’intermezzo del matrimonio con una donna tedesca.

È del 1989 l’esordio letterario con “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, in cui condensa la passione per Melville, i riferimenti alla sua terra d’origine e all’amore, che gli darà subito riconoscimento mondiale, con 18 milioni di copie vendute. E resterà un tema ricorrente nei suoi scritti. Seguito da “Il mondo alla fine del mondo”, romanzo teso e dolente sullo scempio del pianeta in nome del profitto, ambientato in gran parte nella terra che più ama, la Patagonia. La stessa che farà da scenario a “Un nome da torero” e a “Patagonia Express”.

Ma il suo universo poetico, in tutta la sua semplicità, a partire dai sogni come motore autentico di tutte le passioni, resta scolpito nelle favole. Come “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Il vero coraggioso è colui che conosce la paura ma sa vincerla: solo così impara davvero a volare.

Il suo realismo non è privo di magia, ma afferrata alle realtà sociali e geografiche di un pianeta – non solo il continente latinoamericano - dalle vene aperte. Favole come ”Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” o “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, che traspirano il fascino della letteratura orale e inducono il lettore a costruire l’universo del testo solo con il potere dell’immaginazione. Favole per fare della scrittura «una difesa della tenerezza, con forza e perfino con rabbia». «I miei nonni raccontavano storie», aveva ricordato Sepúlveda a ottobre scorso, nel suo 70° compleanno. «Allo stesso modo mio zio materno, che era mapuche. Grazie a lui credo nel carattere orale della narrativa. Scrivere non è altro che trasferire sulla carta questa vecchia arte dell’oralità, questa vecchia passione di raccontare storie…». —

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