A Trieste la lezione di storia di Alessandro Barbero su San Francesco
Mercoledì al Teatro Verdi di Trieste lo storico terrà un discorso sulla leggenda del santo patrono d’Italia alla vigilia dell’anniversario degli 800 anni dalla morte. L’incontro sarà visibile anche in diretta streaming sul sito de “Il Piccolo”.

Alessandro Barbero torna ad affascinare con una narrazione su San Francesco, alla vigilia di quell’ottocentesimo anniversario dalla morte del santo patrono d’Italia (1226-2026). La lezione dello storico si terrà mercoledì 8 ottobre alle 18.30 al Teatro Verdi di Trieste.
L’evento, ideato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste ed organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste, media partner Il Piccolo e Nem, è a ingresso libero con prenotazione del posto (massimo 2 biglietti a persona) da fare on line su Ticketpoint o presso il punto vendita di Galleria Rossoni in Corso Italia 9. L’incontro sarà visibile anche in diretta streaming sul sito de “Il Piccolo”.
Martedì 18 novembre alle 18 Barbero sarà anche al Teatro Giovanni Da Udine per presentare il suo libro.
Nel volume che Barbero ha dedicato a San Francesco, da poco in libreria per gli Editori Laterza, non viene presentato un santo perfetto, ma uno “scomodo”, che sfida le certezze, che mette in crisi il senso comune. Perché San Francesco non è semplicemente il simbolo di pace e dolcezza, ma anche del rigore, della costrizione, della tensione verso un ideale che può logorare.
Barbero sarà poi a Padova il 9 ottobre per tenere una conferenza sulla peste del 1300 al Teatro Verdi, nell'ambito del Festival della Salute, con biglietti gratuiti disponibili sul sito eventi.salute.eu
Professor Barbero, chi era Francesco? Un visionario irrealizzabile oppure un modello di purezza evangelica?
«Quando decide di cambiare vita abbraccia la vocazione alla povertà totale rimanendovi fedele per tutta la vita. La persegue però per sé, non lo sfiorerà mai l’idea di prescriverla al mondo. Francesco non ha mai detto una parola contro i ricchi, anzi dice che i ricchi vanno rispettati perché fanno l’elemosina».
Eppure si era parlato di lui come di un rivoluzionario frenato per non finire come eretico.
«Ma no, era un obbedientissimo figlio della Chiesa. Ha sempre professato una obbedienza cieca alla Chiesa, al papa a tutto il clero. Francesco aveva ben chiaro come fosse facile finire in odor di eresia, i tempi erano quelli. Ma seppur stando dentro la Chiesa, questo non vuol dire che non aveva contrasti: c’era una tensione continua con Roma, che lo approva, ma lo invita continuamente a modificare delle cose. L’aspetto più clamoroso riguarda la parte femminile del movimento francescano fondata da Santa Chiara, che la Chiesa ufficiale approva, però a patto che le donne se ne stiano chiuse nel monastero di clausura».
È giusto fidarsi della versione “ufficiale” redatta quarant’anni dopo la morte di Francesco? Oppure quelle fonti distrutte (in parte poi ritrovate) erano più autentiche, anche se meno “edificanti”?
«Dobbiamo avere presente che ogni narrazione storica incorpora scelte, filtri, prospettive. Dobbiamo chiederci perché scegliamo di ricordare alcune cose e di omettere altre. Nel caso di Bonaventura da Bagnoregio, che scrive una versione edificante della vita di Francesco, è evidente l’operazione che fa. Per lasciare ai posteri l’immagine di un santo soave, buono e pio fa una selezione, alcune cose le dice altre no, altre ancora le censura. E’ chiaro che c’è la tentazione di credere di più ai racconti precedenti a Bonaventura, che ci mostrano un Francesco diverso perché pensiamo sia più vera una persona tormentata dai dubbi, a volte violenta».
A proposito di racconti sulla vita di Francesco, la vicenda del lupo di Gubbio era inventata?
«In questo caso non ci sono dubbi che sia una leggenda, perché per cent’anni dopo la morte di Francesco nessuno ne aveva sentito parlare. La predica agli uccelli per esempio compare nelle prime biografie di chi lo aveva conosciuto ed è meno probabile che sia una invenzione. La storia del lupo invece fa parte non del Francesco storico, ma del personaggio del nostro immaginario collettivo».
E torniamo alla costruzione della memoria e al dovere dello storico.
«La cosa più importante che noi storici dovremmo provare a insegnare alla gente, e che vale anche per il mondo di oggi, è che non bisogna fidarsi a scatola chiusa di nessuno. il principio guida dello stare al mondo dovrebbe essere che qualunque cosa ti venga detta devi chiederti chi è che te lo dice come fa a saperlo e che interesse ha nel dirti le cose in quel modo. Purtroppo tendiamo a credere ciecamente a ciò che ci viene detto specialmente dalle autorità».
Il suo libro ha avuto anche qualche critica. Michele Caccamo sull’Huffpost ha scritto che la dimensione spirituale di san Francesco non è stata sufficientemente valorizzata.
«Io ho analizzato e presentato i testi, dai quali la dimensione spirituale emerge, ma non ho scritto un libro per raccontare chi era san Francesco; ho voluto far vedere come all’epoca quelli che lo volevano raccontare ci hanno presentato delle questioni problematiche. Detto questo senza dubbio personalmente sono meno interessato a una dimensione strettamente spirituale». —
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