Da Lignano parte la svolta metal di Vasco

LIGNANO. Poteva chiudere palco e microfono un anno fa con la sbornia del record mondiale di Modena Park. Avrebbe consacrato 40 anni di una carriera pazzesca. Stravissuta. No, le dimissioni da rockstar gliele avrebbero respinte con un plebiscito. Rieccolo, Vasco. Alla data zero di ieri sera al Teghil di Lignano, come al soundcheck di venerdì per il fanclub, il rocker ha consacrato piuttosto una nuova pagina artistica: la svolta metal, nell’aria da un po’, con cui riveste quasi per intero questo “Non stop live tour” che a giugno approderà a Torino, Padova, Roma, Bari e Messina.
Il Kom picchia subito duro con “Cosa succede in città”, rispolverata dall’omonimo album dell’85 (quello di “Toffee”, capolavoro di una musica per immagini) e arrangiata con scariche di chitarra ritmica. L’assaggio di questi giorni sui canali social, con il clip delle prove a Rimini, ha lasciato intendere cosa c’è da aspettarsi. Si continua con “Deviazioni” e “Blasco Rossi”, mentre sullo sfondo la scenografia restituisce fotogrammi del passato. Frammenti di vecchi tour oceanici, da “Gli spari sopra” a “Rewind”, che negli anni ’90 avevano incoronato il vate di Zocca come il re degli stadi.
Oggi l’estate non comincia senza un concerto del dottor Rossi. Lui non è più quello di “Bollicine”, “Non l’hai mica capito” o “Splendida giornata”. Ma sul palco se la spassa come a quei tempi. Salta, corre, ammicca. «Guardate l’animale!», urla al pubblico. Sono carezze al cuore quando intona brani come “E adesso che tocca a me” o “Come nelle favole”, preludio di altre melodie che di lì a poco riserverà la scaletta: “Senza parole”, “Vivere”, “Sally”, “Siamo soli”. Dolci, violente parentesi a cui si arriva sotto le botte metal industrial di “Fegato, fegato spappolato” (con una citazione di Enter Sandman dei Metallica), seconda traccia del disco “Non siamo mica gli americani” (del ’79). È l’album in cui Vasco aveva iniziato a costruire la propria cifra stilistica rock dopo l’esordio più cantautoriale di “Ma cosa vuoi che sia una canzone” del ’78.
Il concerto sfodera tre medley. Uno rock (“Delusa”, “T’immagini”, “Mi piaci perché”, “Gioca con me”, “Stasera”, “Sono ancora in coma”, “Rock’n’roll show”), uno elettro dance (“Brava”, “L’uomo più semplice”, “Ti prendo e ti porto via”, “Dimentichiamoci questa città”) e uno acustico (“Dillo alla luna”, “L’una per te”, “E...”). I 26mila del Teghil li cantano come inni. Impressionante la quantità di famiglie con bimbi al seguito. Vasco è instancabile. Una trentina di canzoni per due ore e mezza di concerto. Il Kom pesca dal repertorio brani recenti come “Sono innocente”, “Mondo migliore” e “Vivere non è facile”, un viaggio introspettivo in cui il rocker si abbandona aggrappandosi al microfono, come disperato approdo esistenziale. Non possono mancare “C’è chi dice no”, “Gli spari sopra”, ma anche “Domenica lunatica”. E, naturalmente, “Siamo solo noi”, “Vita spericolata” e “Albachiara”. Pezzi entrati nella storia, nel rito collettivo, che il pubblico conosce come il “Padre Nostro” e l’«Ave Maria».©RIPRODUZIONE RISERVATA
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