Dal mito alla scienza cerchiamo la nostra felicità nei misteri del Cosmo

l’intervista
La nostra specie punta gli occhi al cielo da quando ha cominciato a maturare una coscienza e a esprimerla attraverso il pensiero. Qual è il nostro posto nell’universo? Quali le norme che regolano la natura? Le prime idee e rappresentazioni mentali che l’uomo si è dato sul perché esiste il mondo, sulla sua struttura e la sua creazione, sono basate sul mito. E dopo il mito è arrivata la scienza, che ha scavalcato il mito incaricandosi di «descrivere la struttura dell’Universo all’interno di un ragionamento logico», passando dalle narrazioni di demoni e dei allo studio delle galassie del Big Bang. Insomma non smettiamo di chiederci quale sia l’origine dell’Universo e quale il nostro posto nel Cosmo, ed è un’inesausta interrogazione che attraversa la nostra storia. Questa storia la racconta ora l’astrofisico Pietro Oliva nel libro “Cosmogonie & Cosmologie” (La Lepre Edizioni, pagg. 159, euro 28,00) volume di grande formato e ricco di illustrazioni che offre un’ampia panoramica di come le diverse civiltà hanno immaginato le origini dell’universo.
Si può individuare un elemento comune, fondante, fra le più moderne teorie della fisica sull’origine del Cosmo e i miti del passato?
«Assolutamente sì – risponde Pietro Oliva –: l’uomo fin dal principio ha voluto interrogarsi sul perché delle cose. E la comprensione del perché è subordinata all’investigare il come; oggi tale compito è demandato alle scienze naturali, almeno per quanto riguarda la Natura, ma ci sono anche altri canali: le religioni, le filosofie, i miti. Cambiano gli statuti epistemologici ma resta il motore comune: la necessità di trovare dei motivi giustificativi dell’esistenza al fine d’attenuare quello stato di angoscia che accompagna il silenzio assordante dell’Universo, quando interrogato sul quesito estremo».
Molti miti sopravvivono nelle religioni e nelle culture, e di fatto convivono con la scienza. Viviamo in un’epoca per così dire un po’ dislessica, che mescola antico e moderno?
«Viviamo a mio modo di vedere in un’epoca dove si è colpevolmente confusa la libertà con l’arbitrio. Ad esempio il denaro è divenuto un fine e non un mezzo. Le grandi unioni economico-politiche come l’Europa o la Cina hanno scelto di far circolare i capitali ma non le persone che li producono. Al centro di tutto è stato messo il profitto invece della felicità. Ciò si riflette anche nella richiesta di conoscenza della gente: è naturale che l’uomo della strada, che ha bisogno di risposte sia dalla fisica che dalla metafisica, si crei una miscellanea di sedativi, non tutti propriamente efficaci (penso agli oroscopi, alle pseudoscienze quali l’omeopatia e la pranoterapia e così dicendo). Dove ha potuto la religione si è appropriata del mito, la scienza delle tecniche di mestiere».
La necessità di “disegnare” il Cosmo nasce dallo scarso controllo dell’uomo sulle forze naturali. Oggi che siamo in grado di piegare a Natura ai nostri bisogni, rischiamo di perdere la necessità dei simboli?
«Non penso che faremo mai a meno del simbolo. All’inizio il simbolo era praticamente l’unico modo di riconoscere il portatore di un diritto o il destinatario di una promessa. Si trattava di una tavoletta spezzata, le cui crepe avevano dunque forma unica, che le due parti custodivano a testimonianza dell’intesa. Significava accordo fra gli uomini. Oggi i simboli ci uniscono ugualmente nella vita quotidiana: chiunque riconosce qual è la toilette giusta in un ristorante in Giappone o il pulsante d’accensione su un telecomando in Russia. Il simbolo è un’intesa fra uomini ancora oggi e sempre ed è in matematica che ha sublimato il suo potere. Ora l’unica consapevolezza che dovremmo avere riguardo al nostro pianeta e, per estensione, all’Universo è quella che siamo stati messi in grado di contemplarne la bellezza». –
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