Guerre, suicidi e dispetti: storie folli di geni da Ernst Boltzmann a Lise Meitner

la recensione
Gennaio 1897. La scena: l’aula magna dell’Università di Vienna, la grande lavagna piena di equazioni e grafici. Ludwig Boltzmann ha appena concluso la sua attesissima relazione all’annuale appuntamento dell’Accademia imperiale delle scienze. Ancora una volta ha raccontato ai colleghi fisici, matematici e filosofi come tutta la termodinamica – di cui egli stesso è ormai considerato uno dei padri fondatori – possa venire spiegata in termini di atomi. Quelle unità indivisibili della materia che trovano le loro radici addirittura nella filosofia di Democrito e Leucippo e nel “De Rerum Natura” di Lucrezio.
Nel silenzio dell’auditorium si alza il vecchio Ernst Mach, la lunga barba fremente di sdegno, e punta il dito contro il relatore, in piedi accanto alla lavagna: “Professor Boltzmann, io non credo che i suoi atomi esistano!”. Non è la prima volta che il contrasto tra loro emerge in pubblico. Ma mai di fronte a un’assise di quella importanza. Boltzmann rimane impietrito, incapace di reagire, guardando il rivale dietro le spesse lenti degli occhiali.
La storia della scienza dimostrerà, ovviamente, che Boltzmann aveva ragione e Mach torto marcio. Ma la depressione per l’ostracismo dell’ambiente accademico, la salute malferma, la vista che se ne andava congiureranno negli anni seguenti a far precipitare la situazione. Nel 1906 Boltzmann si impicca nell’albergo di Duino dove era andato in vacanza assieme alla famiglia.
È probabile che non ci fosse alcun giornalista ad assistere a quello scontro epocale. Ma provate a immaginare che cosa sarebbe accaduto oggi, quale rimbalzo sui media e sui social avrebbe avuto l’invettiva di Mach contro il povero Boltzmann. Oggi che ci meravigliamo – quasi scandalizzati – perché virologi, infettivologi, epidemiologi non la pensano allo stesso modo a proposito d’un virus di cui sei mesi fa ignoravamo perfino l’esistenza.
L’aneddoto è riportato assieme a tantissimi altri in un volume uscito per le Edizioni Dedalo: “L’alfabeto della scienza” (pagg. 320, euro 17). L’autore è Giuseppe Mussardo, fisico teorico della Sissa con la passione per le biografie scientifiche. Recita il sottotitolo: “Da Abel a Zero assoluto 26 storie di ordinaria genialità”. Perché 26? Perché tante sono le lettere del nostro alfabeto, a ciascuna delle quali Mussardo abbina un personaggio della fisica, della matematica, della chimica vissuto negli ultimi tre secoli. In realtà gli scienziati che abitano queste pagine, intrecciando le loro vicende scientifiche e personali, sono molti di più. Con qualche scelta eterodossa che consente di illuminare angoli poco noti della storiografia scientifica.
Motivo ricorrente in queste biografie (anche per l’ego dei protagonisti) è lo scontro di opinioni. A conferma del fatto che i contrasti sono spesso il sale e il pepe della scienza. Qualche esempio? La geniale intuizione che portò il giovane fisico indiano Subramanyan Chandrasekhar a porre un limite superiore alla massa delle stelle morenti – oltre il quale esse concludono la loro esistenza collassando come stelle di neutroni o buchi neri – venne ferocemente osteggiata dal grande vecchio Arthur Eddington (“una buffonata cosmica”, la definirà); ma cinquant’anni dopo quell’eresia verrà premiata con il premio Nobel. Il drammatico braccio di ferro tra Robert Oppenheimer, il leader scientifico del Progetto Manhattan che realizzò le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, e il “falco” Edward Teller, sostenitore della ben più devastante bomba all’idrogeno. E, su un piano più asettico, le ripicche sulla priorità della scoperta della violazione della parità in certi processi subnucleari tra i due fisici cinesi (naturalizzati americani) C.N. Yang e T.D. Lee: il Nobel assegnato nel 1957 a entrambi, poco più che trentenni, non pare aver riportato la pace tra loro.
Ma nelle pagine di Mussardo ci sono anche storie d’amore. Come quella che – galeotto il laboratorio di radioattività – unirà Frédéric Joliot e Iréne Curie (figlia di Marie) portandoli al terzo Nobel della famiglia. E le avventure galanti di quel tombeur de femmes che fu Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, che imparò la relatività di Einstein mentre, con la divisa dell’impero austro-ungarico, durante la guerra era in servizio sul Carso, a Prosecco. E ancora la folle passione – di tutt’altra natura – che spinse il povero Guillaume Le Gentil a dilapidare il suo patrimonio inseguendo per anni il capriccioso passaggio di Venere sul Sole.
Il capitolo forse più bello è quello dedicato a Lise Meitner, che per prima comprese come gli esperimenti condotti dal collega Otto Hahn avessero provocato la scissione dell’atomo. Mussardo ricostruisce la sua fuga (perché ebrea) dalla Berlino nazista ai Paesi Bassi. Una fuga in macchina e in treno, aiutata da amici fisici, narrata al ritmo d’una spy story. Nel 1944 Otto Hahn riceverà il Nobel per la Chimica. A Lise Meitner (morta novantenne nel 1968) non andrà neppure una menzione. Una delle molte, troppe, “dimenticanze” nei confronti delle donne della scienza. —
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