Iarussi racconta Fellini dalla A alla Z E ricorda l’amicizia con Tullio Kezich

Beatrice Fiorentino
Le celebrazioni per il centenario della nascita di Federico Fellini vanno in quarantena, i libri no. “Amarcord Fellini. L’alfabeto di Federico” (edizioni il Mulino, pagine 239, euro 16), del critico cinematografico e letterario Oscar Iarussi, autorevole firma de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e selezionatore nel Comitato di esperti della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, affronta il mito del Maestro di Rimini secondo una chiave insolita, raccogliendo alcune parole chiave in rigoroso ordine alfabetico: dalla A di Amarcord, alla Z di Zampanò, passando per la E di Ekberg, la G di Giulietta, la R del transatlantico Rex. Senza la pretesa di essere esaustivi o completi (si potrebbe?), ma proponendo piuttosto un’associazione di idee, “un dizionarietto portatile guidati dalle suggestioni, dalle emozioni o dai ricordi personali”, dove l’autore si prende anche il rischio della scelta. Tra le pagine, Iarussi mette a fuoco la lucidità di Fellini nel riuscire a cogliere l’essenza di un Paese in grande trasformazione, così come la capacità quasi “mitologica” di trasfigurare quella realtà in sogno. Un raffinato antropologo del Novecento nel suo farsi e disfarsi e un sogno lungo un secolo. Scelte artistiche, tentazioni politiche, incontri. Tra questi, quello importante con Tullio Kezich, amico e biografo, che occupa un intero capitolo alla lettera K (conteso fino all’ultimo con Kafka e Kurosawa). Nello stesso capitolo in cui si fanno anche i nomi dei conterranei triestini Lelio Luttazzi, Franco Giraldi e soprattutto del collega Callisto Cosulich, assieme al quale, nel ’47 Kezich avvia alla sezione cinematografica del Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste.
I due sono i primi critici cinematografici della nuova Italia dai microfoni di Radio Trieste o sulle colonne del “Piccolo”, complice anche la congiuntura storica, che dopo decenni di autarchia culturale nel ventennio fascista, vedeva fiorire la circolazione dei film americani dal Territorio Libero di Trieste, a partire dal 1947. Entrambi proseguirono le rispettive carriere fuori dai confini cittadini e Kezich, dopo aver fondato assieme a Ermanno Olmi la casa di produzione “22 dicembre”, approda a Roma, dove diventa produttore e sceneggiatore Rai (tra le sue creature “Sandokan” di Sergio Sollima e le cinque puntate di “L’età del ferro” di Roberto Rossellini, prima di passare in eredità al figlio Renzo). Già firma prestigiosa di “Panorama” e “Repubblica” e quindi del “Corriere della Sera”, Kezich è tra i primi “fellinologi” a dedicarsi alla “Biografia infinita”, titolo della rubrica che teneva sulla rivista “Fellini Amarcord”, in grado di distinguere il vero e il falso sul conto del Maestro, che amava alimentare leggende sul proprio conto. “Federico Fellini. Il libro dei film” è l’ultimo volume del critico triestino, pubblicato postumo nell’autunno del 2009.
Ad altri amici della vita sono dedicati altrettanti capitoli, come quello per Marcello, Mastroianni naturalmente, per Flaiano e per Nino (Rota), autore delle intramontabili musiche dei suoi film. Ma c’è anche posto per Jung, “uno dei grandi spiriti dell’umanità” secondo Fellini, che ne legge avidamente trattati teorici e clinici, o per il Teatro 5 di Cinecittà, “un reclusorio, un rifugio antiatomico” di 3000 metri quadri (all’epoca è lo studio più grande d’Europa) che il regista trasforma nel suo regno onirico. E altri luogo “magici” come la sua Rimini (alla B di Borgo) e ovviamente Roma (Alla U di Urbe), la grande capitale. E infine Hollywood, che omaggia il Maestro nel 1993, tributandogli l’Oscar alla carriera, chiudendo il breve montaggio di sequenze felliniane che prelude l’arrivo del regista sul palco del Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, con questo epigrafe: “Il visionario è l’unico vero realista”. Magnifico paradosso. —
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