Il fisico Federico Faggin «Nessuna macchina mai sarà più potente dell’uomo»

l’intervista
Nato a Vicenza nel 1941 e trasferitosi negli Stati Uniti dal '68, il fisico Federico Faggin è uno degli inventori più famosi del mondo. Il microchip e il sistema touchscreen si devono alle sue intuizioni, ma Faggin è anche imprenditore di successo e ora appassionato studioso della scienza della consapevolezza. Tutto ciò è raccontato nella sua autobiografia, “Silicio” (Mondadori, pp. 312, euro 22), che l'autore presenta al TriesteBookFest venerdì 18, alle ore 10.30, all'auditorium del Museo Revoltella in un incontro con Nico Pitrelli. In molti dicono che succeda tutto nell'infanzia e sembra che la regola sia rispettata anche questa volta. «Nel mio caso - dice Faggin - ho dimostrato molto presto una predilezione per gli aerei, dapprima amavo progettare e costruire aeromodelli, poi ho scelto di frequentare le scuole industriali contro il volere di mio padre, scrittore e professore di storia e filosofia. Ero molto motivato e ho insistito per fare ciò che volevo e lui alla fine è stato bravo a lasciarmi fare. Se non avessi intrapreso questa strada allora, negli anni Sessanta, non sarei arrivato dove sono arrivato. Quello era il momento giusto: lavorare a un piccolo calcolatore sperimentale è stato importante per scegliere di studiare Fisica all'università di Padova e poi di andare in America alla Silicon Valley».
Come per l'arte, anche nelle scoperte e nelle invenzioni scientifiche incide il talento oppure si tratta di studio e dell'applicazione della conoscenza?
«I bambini che hanno un'inclinazione per l'arte spesso non ce l'hanno per la tecnologia e la matematica. Sono modi diversi di esprimere la propria creatività, sono entrambe attività creative ma che richiedono talenti diversi. Nelle famiglie spesso si sviluppano caratteristiche diverse tra i soggetti: tra i miei figli, ad esempio, la maggiore è un'artista, l'ultimo è un tecnologo e il mediano è metà e metà».
Il microprocessore e il touchscreen, che stanno alla base di tutta la tecnologia che noi abbiamo in mano ogni giorno in oggetti come lo smartphone e il computer, sono sue invenzioni: si era reso conto subito che sarebbero state così rivoluzionarie?
«Mi sono reso conto subito che avrebbero cambiato moltissime cose. Ma devo dire che la realtà ha superato le mie aspettative, non credevo che i microprocessori sarebbero diventati così dominanti: hanno permesso le telecomunicazioni mobili perché il computer nel telefono cellulare è fondamentale. Anche Internet e il telefono intelligente esistono di conseguenza. Neanche gli scrittori di science fiction avevano previsto l'emergere massiccio di Internet. Essenziale è stata l'invenzione della cellularità che si basa sul riutilizzo delle stesse frequenze. Un telefonino racchiude circa cinquanta microprocessori, il meno potente di questi è più potente del primo computer commerciale del 1951 che era grande come un appartamento. Oggi un pezzetto di silicio è diventato l'intero computer. Spesso un sistema intero sta in un singolo chip».
Dal momento che il frutto dei suoi studi e delle sue intuizioni cambia le abitudini delle persone, lei sente delle responsabilità?
«No, non sento responsabilità nell'uso della tecnologia: quest'uso, giusto o sbagliato, dipende dalla maturità e dal senso di responsabilità della gente. Un coltello può tagliare una mela e allo stesso tempo ammazzare qualcuno. Come un pacemaker salva la vita, la bomba guidata uccide ed entrambi hanno un microprocessore».
Lei dice che l'intelligenza artificiale l'ha conquistata per il potere che consente ma che poi l'ha messa in crisi. Ci racconta brevemente?
«Già trent’anni fa avevo capito che le reti neurali artificiali erano fondamentali e oggi i computer usano queste reti per riconoscere oggetti e situazioni attraverso l’apprendimento. In questo modo si può fare molto meglio di algoritmi inventati dal programmatore. Però ci sono facoltà umane che il computer non può assolutamente imitare».
Attraverso le neuroscienze lei si è avvicinato alla natura della consapevolezza e cerca di indagare la verità spirituale con metodo scientifico.
«Studiando biologia per capire gli organismi viventi mi ero chiesto come i segnali biochimici potessero diventare esperienze e sensazioni. La nostra coscienza va molto al di là dei segnali e permette di raggiungere un'unione col tutto e l'universo. L'intelligenza viene dal cervello, ma non solo. Studio la natura della coscienza da trent'anni, dieci anni fa ho capito che la coscienza non può emergere dalla materia, questa comprensione mi ha spinto a dar vita a una fondazione. Oggi mi batto per spiegare che il computer non sarà mai autonomo e indipendente. È un errore pensare che la macchina sarà più potente della vita umana. In questa mia quarta vita vado in una direzione nuova, contro la corrente di pensiero che dice che l'intelligenza artificiale supererà l'uomo: ciò non è possibile. La macchina può fare meglio dell'uomo solo alcune funzioni e operazioni perché è più veloce. Ma l'uomo ha il cuore e solo il cuore può mediare tra la razionalita e l’azione per creare un mondo migliore. La razionalità senza cuore può solo portare alla rovina». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo