In quell’ultimo tratto di via Venezian un tempo la notte era scandita dal biliardo

Botteghe, inquilini, il piccolo commercio. E uno “sburto” che ha fatto commuovere il vetraio 
Lasorte Trieste 20/05/20 - Via Venezian
Lasorte Trieste 20/05/20 - Via Venezian

TRIESTE. In questi mesi non ci sono automobili che passano. Gli amici mi chiamano al pergolo dalla strada ed è una gioia antica. Non ricordo da quanto non succedesse più… Mi fa pensare ad uno stradario diverso… fatto dalle persone in transito ogni giorno proprio su quella strada-sempre-quella per rincasare o per andare al lavoro. Con il tempo ti saluti per nome. Per un poco è un tuo proprio ritmo, che ti sgombra la testa da altri pensieri, e se va ai vuoti lasciati via via sulla mappa li registra come una qualità presente di quella strada.

Abito in via Felice Venezian 8 – disegni acquerellati superbi nell’archivio del Comune, 1822, dell’architetto coinvolto in Villa Necker. Prima di me al primo piano viveva la signora Anna Baici, dei Baicich di Cherso, una conoscente di mia mamma, anzi, credo, una sua lontana parente, che andavamo a trovare di tanto in tanto. La casa era piena zeppa di suppellettili e mobili dell’Ottocento. Poi salivamo in visita all’ultimo piano. Nel minuscolo appartamento del sottotetto abitava la signora Emma Corsi. Mi raccontava emozionata dei paesaggi della costa istriana. Li dipingeva a memoria in piccole tele molto colorate. Ripenso a lei almeno una volta all’anno, quando uno dei rondoni della nuova nidiata fa il suo primo tentativo di volo, esattamente da sopra il suo tetto, e resta imprigionato nel cavedio della cucina, stretto e un poco in pendenza, da film di Robert Wiene.

Il rondoncino di quest’anno mi ha fatto visita con due mesi di anticipo. Cambiamenti climatici? Sono però anche testimone che la rhipsalidopsis pasqualina che ho alla finestra ha deciso invece di spostare il suo planning in avanti: per i suoi tronchi ex-foglie grasse, Pasqua è sempre tra la fine di maggio e l’inizio di giugno e la fioritura in posizione ben soleggiata è sempre generosissima. Quando si è accasata nello sburto, alle finestre di fronte c’era ancora il club del biliardo. A notte fonda mi rasserenava la successione regolare dei colpi della stecca sulla pallina.

Era un appartamento enorme, ora diviso in tre abitazioni private. Sul retro affaccia su una corte così grande che in mezzo c’è posto per un edificio a un piano con tetto a falde, una volta una piccola fabbrica. Sicuramente vi si riparavano anche dei carri, o le carrozze: il pavimento dell’ingresso era a cubetti di rovere tagliato in testa. Nella casa a fianco, credo al terzo piano, c’era il primo centro macrobiotico di Trieste. Un mito di spazio alternativo della prima metà degli anni Settanta! Ricordo la gamma di colori impressionante, da verde marcio a terra bruciata, che uniformava pareti, arredi, piatti e... cibi.

In questa piccola porzione di mappa sorridevo anche all’insegna dipinta sul vetro del sovrapporta della cristalleria Schmitz, sparita qualche anno fa nella riconversione del locale all’angolo con via Madonna del Mare: spero che sia stata donata a qualche istituzione. I commessi del ferramenta di fronte, sebbene non vendano più i chiodi a peso, ma solo in bustine di plastica uscite dalla fabbrica, sanno ancora dare consigli speciali; se manca qualcosa per un allestimento di mostra le mie assistenti ci vanno volentieri per consultarsi con un bel ragazzo che lavora lì. Tre porte più in là ti immergevi anni fa in una vera trasmissione sapienziale: il signor Bembo era già anziano quando andavo al suo negozio di vernici. Raccontava meraviglie degli stucchi e marmorini che gli commissionavano.

Poco più giù, all’angolo, i due fratelli Penso hanno deciso di continuare infaticabili a regalare energia alla via, spargendo come dovere di famiglia un profumo impagabile che si effonde nella trasversale fino quasi al tabaccaio-giornalaio, una certezza sulla mappa, che ora ha accolto con sé anche il giornalaio di Cavana: ho pensato che fosse la cosa più logica del mondo ed è una gioia vederli insieme. Dall’altro capo dell’isolato è un altro incanto vedere Igor e il suo staff in macelleria, il suo gesto lento e sapiente di affilatura del coltello e la posizione delle dita durante il taglio, quasi una carezza.

Attaccato al portone di casa c’è il signor Collini, coraggiosissimo arrotino resiliente. Di tanto in tanto gli porto in villeggiatura per il tempo che serve a rifare loro il filo i coltelli di una amica di Venezia. Mentre per tutti noi gigante, grazie a dio inclusa nella mappa, c’è la splendida ostinazione del mare, la pianta Pasqualina è sempre fiera del suo sburto.

Ho trovato due operai audaci, ché lo restaurassero: due omoni che per smontarlo hanno forzato, scalpellato, usato corde, battuto di martello – mentre io sono scesa di corsa a mettere delle caprette come transenne, vedi mai che tutto fosse crollato in strada. Solo dopo abbiamo capito la facilità che non sapevamo più con cui si passava agli scuri al cambio di stagione: l’intelaiatura sulle verticali di congiungimento con l’infisso ha un profilo asimmetrico. Basta un semplice rapido gesto a scatto et voilà! Il “garzone”, età da nonno rispetto alla nuova generazione Pasinati (altro hot spot di mappa), non vedendo più sburti in riparazione da decenni integrandone i vetrini si è commosso. 

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