La mafia sparge sangue sulla storia ma non va considerata onnipotente

di ANTONIO CALABRÒ Scrivere di mafia, tra letteratura e cronaca. E indagare, con strumenti diversi, su fenomeni che segnano di sangue la nostra storia, distorcono politica e affari, stravolgono le...
Di Antonio Calabrò

di ANTONIO CALABRÒ

Scrivere di mafia, tra letteratura e cronaca. E indagare, con strumenti diversi, su fenomeni che segnano di sangue la nostra storia, distorcono politica e affari, stravolgono le città. Lo fa con grande sapienza . Gianrico Carofiglio in "L'estate fredda" (Einaudi pagg. 352, euro 18). Inusualmente fredda, tra pioggia e vento di mare, nella Bari che fa da sfondo al racconto, tra maggio e luglio del 1992. E caldissima, invece, per l'incrocio dei misfatti. Lì, un'organizzazione criminale di poca storia e molta ferocia cerca di imitare metodi e riti della 'ndrangheta, della camorra, di Cosa Nostra. Ma proprio in quei mesi, a Palermo, la mafia dei "corleonesi" compie le stragi in cui perdono la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli uomini delle loro scorte.

Al crocevia tra fiction e realtà, Carofiglio manda in scena un personaggio che gli è caro, il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, piemontese con cognome di forte sapore letterario. E lo immerge nella brutta storia del rapimento e della morte d'un bambino, figlio del boss Nicola Grimaldi che, con la "Società nostra", spadroneggia sul quartiere popolare di San Paolo. Delitto orrendo. Di cui Grimaldi incolpa l'ex braccio destro Vito Lopez, preparando sanguinose ritorsioni. Ma Lopez, criminale freddo, spietato e intelligente, per mettersi al riparo, "si pente": si consegna ai carabinieri, racconta gli omicidi compiuti e le illegalità del clan Grimaldi ma, sull'assassinio del bambino, rifiuta ogni responsabilità. Dice la verità, Lopez. E infatti, indagando, si scoprirà che… La fine non si svela, naturalmente.

Vale invece la pena notare come Fenoglio ponga a se stesso, e dunque ai lettori, una fondata serie di dubbi, sul senso delle indagini, sui poteri degli inquirenti (talvolta esercitati oltre i limiti della legge), sui confini tra legalità e giustizia, sul dubbio che coglie ogni onesto investigatore ogni volta in cui, "cercando di dare un senso al caos", si trova a scrutare nel cuore di tenebra degli uomini ma anche a scoprire la profonda moralità di alcuni di loro ("la verità delle persone si legge nelle sfumature", fa dire Carofiglio al suo Fenoglio).

Ci sono, nelle pagine, i verbali delle confessioni di Lopez, terribili anche se tradotte in linguaggio burocratico-giudiziario. E i pensieri e le azioni degli inquirenti (il capitano Valente, l'appuntato Pellecchia, il sostituto procuratore della Repubblica Gemma D'Angelo), impegnati a far luce su quello strano rapimento, ma anche a districare e tagliare una fitta rete di rapporti mafiosi tra cosche, uomini d'affari, politicanti. Ne viene fuori un libro lucido e dolente, animato da personaggi umanissimi, feriti e comunque mai arresi. Com'erano, appunto, Falcone, Borsellino e altre vere vittime della violenza mafiosa.

Sullo stesso registro, tra fiction e realtà, si muove Alessandro Zaccuri con "Lo spregio" (Marsilio, pagg. 120, Euro 16). La realtà è quella della 'ndrangheta che dalla Calabria s'è allargata in Lombardia, fino a sovrastare anche i tradizionali reati dei contrabbandieri al confine con la Svizzera. Il racconto è quello di Angelo, figlio di Franco Morelli detto "il Moro", oste con attività cariche di ombre (commerci illegali, prostituzione, traffico di droga) e di Salvo, brillante figlio di don Ciccio, un boss calabrese. Un'amicizia intensa, tra i ragazzi. Che però si trasforma in competizione, in rivalità. E allora, litigando su una statua di San Michele, angelo guerriero… Anche in questo caso, non conta sapere subito la fine. Ma prendere atto che, di crimine in crimine, se non fermata, la 'ndrangheta diventa sempre più forte.

Lo documentano tre giornalisti, Luana De Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi, in "Mafia a Nord-Est" (Bur Rizzoli, pagg. 334, Euro 14): "Corruzione, riciclaggio, disastri ambientali. La prima inchiesta che mostra che la mafia esiste anche nel profondo Nord". Forse non è proprio la prima. Ma l'indagine dei tre bravi cronisti svela comunque la rete di rapporti tra boss, imprenditori e amministratori pubblici e insiste su un punto chiave: «A Nord-Est, nel cuore d'impresa del Paese, le mafie sono arrivate perché qualcuno le ha cercate e le ha chiamate». Per smaltire rifiuti tossici. Per riciclare denaro. Per battere illegalmente la concorrenza. Un fenomeno criminale inquietante, dunque. Su cui in tanti hanno chiuso gli occhi. Ma su cui è necessario continuare a fare estrema chiarezza.

Chiarezza vuol dire anche dare evidenza pertinente alla presenza mafiosa. Evitando confusioni e generalizzazioni. Come fa Costantino Visconti, studioso attento, in "La mafia è dappertutto. Falso!", un tagliente pamphlet edito da Laterza (pagg. 152, euro 10) che smonta l'idea che l'illegalità mafiosa sia radicata ovunque e invincibile e dà concretezza al peso reale delle cosche criminali, ai rapporti con i politici (non "con tutti i politici") e gli uomini d'affari (una minoranza agguerrita e potente, non la generalità d'imprese e finanza), al senso vero di un impegno antimafia che non sia retorica e propaganda. In mente, l'antica e pur sempre valida lezione di Leonardo Sciascia: se tutto è mafia, allora niente è mafia; e così la mafia, ben camuffata, ringrazia.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo