La vera fine di “Accattone”
PORDENONE. Il giudizio di Federico Fellini brucia ancora oggi come una sberla in faccia. E sì, perché quando al regista della "Dolce vita" venne chiesto di visionare alcune scene girate da Pier Paolo Paolini per il film d'esordio "Accattone", il suo giudizio calò come una mannaia: "Questo non è cinema". Al punto che il progetto di produrre lui stesso la pellicola con Angelo Rizzoli per la FedeRiz andò a farsi benedire. Solo in seguito, grazie all'aiuto di Mauro Bolognini, lo scrittore di Casarsa avrebbe trovato un altro produttore, Alfredo Bini, pronto a scommettere su di lui.
Oggi, "Accattone" è un film di culto. Recentemente, in un cinema di Israele, molti ragazzi si sono messi in coda sotto il sole delle due del pomeriggio per vedere il capolavoro di Pasolini. E gli studiosi non smettono di trovare spunti per raccontare, in maniera sempre nuova, quella pellicola del 1961. Proprio adesso esce un prezioso volume intitolato "Accattone. L'esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti". Lo hanno curato Luciano De Giusti, che insegna Storia del cinema all'Università di Trieste, e Roberto Chiesi, responsabile del Centro studi Pasolini della Cineteca di Bologna. Pubblicato con Cinemazero e il Centro studi di Casarsa, è stato presentato ieri a Pordenonelegge.
Tra le scoperte più interessanti, un finale diverso da quello che Pasolini girò. Lo scrittore e regista, infatti, in un primo tempo aveva immaginato una morte nel Tevere per Accattone, non l'incidente su una moto rubata. Annunciata in parecchie interviste, quella chiusa è stata poi accantonata. (a.m.l.)
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