Moni Ovadia oggi al Bobbio «Dio ride perché i suoi figli alla fine lo hanno sconfitto»

SPETTACOLI BRESCIA TEATRO SOCIALE MONI OVADIA DIO RIDE NELLA FOTO SCENA 4/07/2018 REPORTER FAVRETTO
SPETTACOLI BRESCIA TEATRO SOCIALE MONI OVADIA DIO RIDE NELLA FOTO SCENA 4/07/2018 REPORTER FAVRETTO



Dopo un quarto di secolo di erranza, Simkha Rabinovich e i suoi compagni di strada, ritornano per continuare la narrazione. Moni Ovadia propone “Dio ride. Nish Koshe”, tornando a viaggiare tra parole e musica. Oggi sarà al Teatro Bobbio, alle 20. 30, mentre domani al Teatro Nuovo Giovanni da Udine e sabato al Teatro Odeon di Latisana. Ovadia prosegue dunque il cammino partendo dal Talmud. «Per gli ebrei è la Bibbia orale – spiega Ovadia –. Mosè ha ricevuto sul Monte Sinai la Torah (la Bibbia, il Pentateuco) e il Talmud, codificato poi in un libro-non libro di norme e sotto-norme della vita dell’ebreo più i commentari, le discussioni di centinaia di maestri nel corso dei secoli. Nel Talmud c’è una parte dedicata a dei “racconti” che hanno significato sapienziale che magari nascono dall’interpretazione poetica di un verso».

La discussione era volta a che cosa?

«La regola era discutere per poi votare a maggioranza e decidere per quel tempo quale fosse la soluzione scelta – è un libro mai chiuso che vive di eterno dibattito. Durante una discussione, ad un certo punto, il rabbino Eliezer per dimostrare di avere ragione inizia a fare dei miracoli, poi invoca il cielo come testimone e si sente una voce che gli dà ragione. Un altro rabbino si alza ed esclama un versetto del deuteronomio, in ebraico è lo ba-shamayim, che significa: non è nei cieli».

Quindi cosa voleva dire il rabbino?

«Che la legge è stata data agli uomini sulla terra per gli uomini: non c’è bisogno di ascoltare voci celesti. Uno dei rabbini presenti alla discussione incontra poi il profeta Elia e gli chiede qual è stata la reazione di dio a seguito del confronto tra i rabbini. Dio è scoppiato a ridere dicendo che i suoi figli lo hanno sconfitto».

Perché “Dio ride”?

«Ride della propria goffaggine, perché è intervenuto in questioni che non lo riguardavano. È una storia che conferma che nell’ebraismo non ci sono diktat. Dio e l’uomo sono diversi, ma hanno la stessa dignità e hanno fatto uno patto, il Brit Milah, il patto della circoncisione. Anche Dio deve stare alle regole. L’umorismo è parte integrante dell’identità ebraica».

Come mai?

«Quando ad Abramo degli arcangeli dissero che avrà un figlio da sua moglie Sarah, Abramo e sua moglie scoppiarono a ridere – entrambi erano vecchissimi –. Dopo nove mesi il padre eterno va da loro dicendo: “Avevate tanto da ridere. Allora ridiamo insieme”. Non a caso il figlio che nasce viene chiamato Isacco che in ebraico significa riderà».

“Dio ride” è la continuazione del suo “Oylem Goylem”?

«Sì, c’è un vagabondo-narratore e cinque musicanti. La novità è che alle loro spalle c’è un muro – allude al muro della Palestina – dove vengono proiettate delle immagini dell’esilio degli ebrei dell’Egitto al quale si sovrappongono le sofferenze del popolo palestinese. Il muro della Palestina mi ferisce l’anima».

L’umorismo potrebbe aiutarci ad abbattere i confini?

«Assolutamente, purché sia umorismo autodenigratorio. Gli ebrei ridono di loro stessi. L’umorismo è l’arma del fragile, del perseguitato, non del potente. Nelle mani del potente diventa una perversione obbrobriosa. Nello spettacolo faccio capire che la spiritualità umoristico-paradossale è al confine con l’ebraismo». —



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