Nel califfato globale attenti al jihadista della porta accanto

di Pietro Spirito
La guerra santa dell’autoproclamato Stato Islamico è un fenomeno che parte dall’Occidente e all’Occidente torna. Quello che sta accadendo in Medio Oriente, ma che rimbalza nel cuore dei Paesi occidentali con episodi come il recente attacco al Parlamento di Ottawa, inizia il 10 agosto 1920 con la firma del trattato di Sèvres e la fine dell’Impero Ottomano, si alimenta lungo un secolo di guerre etniche e religiose, interventi occidentali e manovre per il controllo del petrolio, cresce dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979, decolla dopo la Prima Guerra del Golfo, trae nuova linfa dalla Seconda Guerra del Golfo del 2003 e si afferma sulle macerie della Primavera araba in Siria e nel caos politico della crisi irachena. Fino ad arrivare alla nascita dell’Isis e alla proclamazione del Nuovo Califfato Globale che ha conquistato terre in Libia, Iraq e Siria, e che senza troppi giri di parole punta invadere il mondo. Non si tratta di sparuti terroristi, ma di un esercito di soldati ben addestrati e ben pagati che, con metodi e strategie in bilico tra un medioevo barbarico e modernissime e sofisticate tecnologie, sta facendo proseliti proprio nelle terre del nemico. Migliaia di giovani europei - inglesi, francesi, italiani - rispondono al richiamo del jihad, migliaia di profughi africani respinti dall’Europa vanno a ingrossare le fila dell’esercito del califfato, mentre grazie a internet e ai social network il radicalismo islamico si diffonde come un virus nelle menti e nei cuori di ragazzi - spesso emarginati figli di seconda o terza generazione di immigrati - che non riescono a trovare in una realtà economica dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, e nei vuoti della crisi di valori dei Paesi dove sono cresciuti, un’identità e un’idea forte in cui credere.
Ma come siamo arrivati a tutto questo? E com’è possibile che tanti europei si lascino convincere ad abbracciare fedi e ragioni del “califfato mondiale”? A rispondere a queste e altre domande prova Khaled Fouad Allam nel libro “Il jihadista della porta accanto” (Piemme, pagg. 143, euro 15,90), un saggio che sintetizza la situazione attuale partendo dall’analisi storica dei rapporti fra Occidente e Islam, dalla cronaca dei nostri giorni e dalla lettura del Corano. Secondo Fouad Allam per capire cosa sta succedendo, e cosa dobbiamo aspettarci, bisogna anzitutto andare a leggere i giornali francesi del settembre 1995, quando un ragazzo franco-algerino di nome Khaled Kelkal venne ucciso dai gendarmi francesi vicino Lione al termine di una lunga caccia all’uomo. Khaled Kelkal, classe 1971, si era reso responsabile di tutta una serie di attentati in Francia dopo aver abbracciato l’ideologia del jihadismo, e la sua figura, nota Fouad Allam, è interessante proprio perché «si trova a metà strada tra un’epoca che si concludeva, in cui l’islam praticato dai genitori non creava assolutamente problemi, era tutto sommato privato, e un islam che cominciava ad affacciarsi nello spazio pubblico e a predicare una nuova forma di militanza (o militarismo)». Figlio di un operaio specializzato emigrato in Francia nel 1969, casa popolare in una banlieu di Lione, ottimo studente a scuola, Khaled Kelkal al liceo entra in crisi. In breve diventa un tep. pista e si dà alla delinquenza di strada, viene arrestato e, in carcere, traghetta la sua marginalità in un rinnovato interesse per la religione che lo porterà a imparare l’arabo, leggere il Corano e trasformarsi in un terrorista nel nome della guerra santa. Un caso emblematico, dunque, anche se la «reislamizzazione di questo immigrato di seconda generazione, cittadino francese di origine maghrebina e musulmano, oltre alla sua crisi personale, al suo passaggio alla devianza fino all’eversione terroristica (...) va contestualizzata attraverso una serie di eventi che segnano profondamente la fine del Novecento». A cominciare dalla caduta del Muro di Berlino. Da quel momento, spiega Fouad Allam citando Samuel Huntington, «il mondo avrebbe vissuto una nuova tipologia di conflitti, non più legati alle ideologie - comunismo/capitalismo - ma basati sulle opposizioni tra civiltà, culture e religioni». Come in effetti è accaduto per esempio con le guerre balcaniche dopo la dissoluzione della Jugoslavia. In questo quadro la complicatissima realtà mediorientale, che non è mai riuscita a risolvere i nodi politici e sociali del passaggio dall’impero agli stati nazionali, ha portato a una condizione in cui «le società arabe appaiono spaccate in due e, all’interno di questa spaccatura, sono evidenti fratture che modulano sia l’idea modernista sia quella fondamentalista, andando fino al radicalismo e oggi al radicalismo eversivo».
Ma a rendere veramente pericolosa «l’odierna situazione mondiale dopo la proclamazione di un nuovo califfato nel cuore del Medio Oriente», è il fattore globalizzazione, alimentato dai social network. Fouad Allam nella sua analisi pone particolare attenzione a questo aspetto del divenire jihadista. Ascoltando i sermoni di diversi predicatori islamici su internet, dice l’autore , «chi è abituato a leggere la grande tradizione storica del commentario coranico (tafsir) è sorpreso da un dualismo: da una parte c’è talvolta una conoscenza approfondita delle scienze religiose islamiche, dall’altra si nota un lavoro ideologico che snatura totalmente la tradizione del commentario coranico». In parole povere, «internet, nell’uso che ne fanno i militanti dell’islam politico, consiste in una strategia della manipolazione del consenso», «rende molto ambiguo il rapporto fra realtà e irrealtà» e può portare «a una dissociazione fra l’essere reale e l’essere completamente intrappolato nel discorso jihadista». L’idea di un “uomo perfetto” sintetizzato nella figura del guerriero, invincibile anche se muore in battaglia o facendosi esplodere, i simboli sempre uguali in cui ogni particolare è studiato («le posizioni, il prigioniero inginocchiato, il guerriero vestito di nero, irriconoscibile, e sempre l’immagine del deserto»), tutto ciò ha buon gioco nel fare presa tramite internet, che «drammatizza la separazione, isolando gli uni dagli altri, esattamente come Facebook quando si chiede l’amicizia virtuale». E per una dottrina eversiva che chiede ai suoi adepti di immolarsi ovunque e in qualsiasi situazione, com’è successo a Ottawa, questo rappresenta un potenziale devastante: in ogni Paese, in ogni città, può nascondersi “il jihadista della porta accanto”.
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