Nicola Gratteri: «Il familismo delle mafie si fonda sul sangue»

Bumbaca Gorizia 25.05.2019 èStoria 031 il contrasto alla famiglia mafiosa © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 25.05.2019 èStoria 031 il contrasto alla famiglia mafiosa © Fotografia di Pierluigi Bumbaca



Un patto rosso sangue. Quello sparso dalla scia degli omicidi e quello unito nei matrimoni che servono a rinsaldare i legami tra le famiglie. L’identità della ndrangheta sta in questo vincolo famigliare intriso di sangue. Nicola Gratteri, procuratore capo di Reggio Calabria, parla sotto una Tenda Erodoto strapiena di gente. E l’attesa non va delusa. Il magistrato che da anni vive sotto scorta è anche un ottimo divulgatore degli affari della ndrangheta, molti libri e trasmissioni tv lo testimoniano. Dialogando con il giornalista Rai Stefano Mensurati sull’istituzione famiglia, Gratteri individua proprio nella rigidità del vincolo che lega tra loro i componenti delle rispettive famiglie della ’ndrangheta la loro, perversa, carta vincente. Tanto che in Sudamerica i cartelli della droga la considerano credibile al punto da venderle la cocaina in conto vendita. La famiglia mafiosa, camorrista o ndranghetista vince perché quello che succede al suo interno è predominante su tutto il resto. È il cosiddetto familismo amorale, descritto per la prima volta negli anni Cinquanta, ma la ’ndrangheta è la più forte tra le famiglie mafiose perché il suo culto delle regole è tale da renderla quasi inscalfibile. In questo mondo chiuso la donna ha un ruolo importantissimo. «È lei a dare il via alle faide tra le famiglie, caricando come sveglie, come un martello pneumatico – è la colorita espressione di Gratteri – gli uomini. Le mafie non sono una struttura statica, mutano, si adeguano ai movimenti della società perché per esistere e fare affari hanno bisogno del consenso popolare». Da profondo conoscitore del fenomeno, Gratteri non manca di indicare in alcune fiction tv dei modelli pericolosi, tanto che molti ragazzi parlano e vestono come Savastano di Gomorra. Infine un accenno alle infiltrazioni mafiose in regione. «Non penso ci sia una struttura vera e propria, ma vengono a vendere cocaina, poi i soldi che restano qui servono a comprano pizzerie e a fare riciclaggio».



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