“Tolkien. Uomo, professore, autore”: la tradizione in mostra a Trieste

Al Salone degli Incanti la mostra lanciata a Roma dal governo sul suo “nume tutelare”. La storia della pubblicazione in Italia del Signore degli Anelli e della sua ricezione

Giovanni Tomasin
La mostra di Tolkien a Trieste (Foto Lasorte)
La mostra di Tolkien a Trieste (Foto Lasorte)

L’epilogo del Signore degli Anelli, come sanno i suoi lettori, fa storia a sé rispetto al resto del libro: conclusa la grande ed epica avventura dell’Unico anello, gli hobbit tornano infine nell’amata Contea ma la trovano stravolta e decaduta, i suoi abitanti convertiti alla macchinazione portata dallo stregone decaduto Saruman: la benevola campagna muta in un grigio paesaggio industriale. Ancor oggi tra gli appassionati c’è chi trova che l’epilogo quasi dickensiano sia un corpo estraneo rispetto al resto del libro, eppure è proprio in quelle ultime pagine che lo scrittore inglese – allergico al contemporaneo – sembra indirizzare un messaggio al lettore del presente.

 

Ecco la mostra “Tolkien-Uomo, Professore, Autore” al Salone degli Incanti di Trieste

Entriamo nel Salone degli Incanti, dove ha da poco aperto i battenti la mostra “Tolkien. Uomo, professore, autore”. L’approdo a Trieste della mostra è l’ultima tappa del “tour” partito dalla Galleria d’Arte moderna e contemporanea di Roma per passare poi da Napoli e Torino. La mostra, ricorderanno i lettori, rientra fra le operazioni culturali con cui il governo Meloni intese fare egemonia culturale: fu l’allora titolare del Mic, Gennaro Sangiuliano, a pensare a Tolkien, un nume tutelare per la destra postfascista italiana.

Che lo scrittore britannico sia finito in un simile campo, è un accidente italianissimo la cui documentazione costituisce una parte preziosa della mostra.

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Il Salone degli Incanti di Trieste (Silvano)

Il primo volume di “The Lord of the Rings” esce nelle librerie inglesi nel 1954. Il libro si vende, tanto che l’editore Allen & Unwin cerca editori stranieri interessati a tradurlo. Nel 1962 si rivolge a Mondadori in occasione dell’uscita del secondo volume, “The Two Towers”. La casa editrice raccoglie pareri dei propri consulenti.

Alla mostra si possono leggere le lettere firmate da Elio Vittorini e dal traduttore Attilio Landi. Nel descrivere il capolavoro che fonda un genere, il fantasy, Vittorini lo derubrica a «ristrutturazione» dei miti nordici, di cui scrive: «Il successo del tentativo richiederebbe la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di un’attualità (cioè che il libro implicasse la metafora di qualche attualità) ma ciò non si verifica affatto».

Va precisato che Tolkien non è l’unica stroncatura eccellente di Vittorini, che bocciò pure “Il tamburo di latta” e “Il dottor Živago”. La critica rivolta a Tolkien non deve però sorprenderci in un intellettuale, come Vittorini, con un passato nel Partito comunista italiano e in quel periodo socialista. Al libro Vittorini rimprovera l’assenza di una «metafora di qualche attualità», perché nel suo orizzonte la letteratura non può esimersi dall’aver a che fare con questo mondo, come lui l’intende. A suo modo aveva centrato un punto, sapendo noi oggi che Tolkien non intendeva assolutamente il libro come una metafora. Che cos’è, allora, il “Signore degli anelli”?

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(fotoservizio Massimo Silvano)

Che sia qualcosa l’intende da subito l’editore Astrolabio che nel 1967 pubblica il primo volume nella traduzione della giovanissima Vittoria Alliata di Villafranca. Questa traduzione è la radice di un dibattito proseguito fino a oggi, fino alla nuova traduzione Bompiani a firma di Ottavio Fatica.

La parte della storia che ci interessa, però, ha a che fare con la seconda edizione, quella Rusconi del 1970. La traduzione di Alliata è qui limata da Quirino Principe (un altro goriziano dopo il goriziano d’adozione Vittorini), ed è preceduta da una – abbastanza eccezionale – introduzione di Elémire Zolla. Zolla, intellettuale ed esoterista, prova ad afferrare cosa sia il Signore degli Anelli. Lo interpreta secondo il pensiero antimoderno di René Guenon, e vi vede riflesse le forme della Tradizione (maiuscola).

L’idea non sarebbe affatto piaciuta al professor Tolkien, non più delle «metafore» di Vittorini, ma in Italia fa notare il libro a una fetta molto specifica di lettori che con quei concetti tradizionali è famigliare. Si tratta dell’ambito neofascista, ghiotto allora degli scritti del filosofo Julius Evola, che all’antimodernismo di Guenon aveva dato una torsione – semplifichiamo - nazistoide. Li attira il “Ritorno del Re”, fa risuonare in loro pensieri su sacri sovrani e via dicendo. Quando poi nel seguito degli anni Settanta il Fronte della Gioventù si scopre movimentista – influenzato dalla Nuova destra “spirituale” francese –, dà il nome di “Campi Hobbit” ai suoi raduni giovanili.

Con un salto in avanti di decenni, arriviamo al presente e per la destra di governo italiana degli anni Venti l’autore britannico è ormai parte dell’indeterminato album di famiglia (dalla Decima alla Thatcher) che compone l’ideologia di partito. Nasce così la mostra di Sangiuliano. La propugna oggi Alessandro Giuli, il successore che talvolta s’esprime in un grammelot evoliano. La tappa a Trieste si deve all’impegno della parlamentare di FdI Nicole Matteoni e del capogruppo in Consiglio regionale Claudio Giacomelli, che ha ottenuto il contributo della Regione allo scopo. Ambedue tolkieniani.

La mostra è curata dal collezionista e scrittore Oronzo Cilli, assessore alla Cultura al Comune di Barletta, che nei giorni precedenti all’apertura ha tenuto una interessante lezione alla sala Bazlen, in cui ha appunto delineato Tolkien in quanto «uomo, professore, autore».

La mostra, allestita in un Salone ristretto per ospitarla, risente di un certo spirito collezionistico che – va detto anche guardando quanto fatto altrove – era evitabile fino a un certo punto. Il corposo apparato illustrativo è pervasivo nelle prime stanze, dove la vita di Tolkien – fra Sudafrica e Inghilterra, la Grande Guerra – è raccontata nel dettaglio attraverso libri e oggetti di famiglia, parenti, conoscenti. Poi una grande stanza con libri di Tolkien in tutte le lingue, in tutti i colori. Altri apparati su Tolkien professore, filologo che amava le lingue al punto d’inventarne di sue. Una saletta di passaggio cringe con proiezioni accompagna alla seconda parte della mostra. Ecco una piccola sezione su “Tolkien e l’Italia” e poi gli interessantissimi documenti sulle prime edizioni italiane, quasi tutti in originale. Segue la parte più d’impatto, una galleria con illustrazioni di autori internazionali ispirate all’opera tolkieniana.

L’ultima stanza è dedicata al riverberarsi della Terra di mezzo in tutti i linguaggi espressivi dai dischi al cinema. Ci sono le protesi in silicone usate nel film per fare le orecchie di Bilbo e un flipper della trilogia cinematografica che l’assessore comunale Giorgio Rossi ha definito «stratosferico». C’è una proiezione a parete di Pino Insegno, in giacca, che legge la parte di Aragorn. Lo sovrasta la scritta: La voce del re.

Il pubblico generalista potrebbe rimproverare alla mostra la carenza di memorabilia del cinema più memorabili, quello più esigente l’assenza di un affascinante parte della produzione tolkieniana – le illustrazioni dell’autore – come pure di tanti pezzi d’impatto (si pensi alle opere di Alan Lee, qui presente con una matita). Gli appassionati all’opera di Tolkien e alla sua figura sapranno senz’altro trovarvi molti motivi d’interesse.

Quanto alle faccende politiche dell’Italia degli anni Settanta, è una di quelle volte in cui l’Italia si trova a sua insaputa all’avanguardia di talune cose. Per quei canali opachi della storia che Julius Evola riteneva essere attinenti al “metastorico”, il pensiero evoliano ha finito per influenzare in modo diretto e indiretto l’ideologia contemporanea della nuova destra digitale, sdoganando globalmente le letture “tradizionaliste” del libro di Tolkien.

Conforta qui ricordare che il libro in fondo non è una metafora, né uno scrigno di “verità primarie”, ma è quello che è: una storia in un altro mondo. —

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