Il filosofo Benasayag a Trieste Next: «La grande differenza? ChatGpt funziona, l’essere umano esiste»
Secondo lo studioso «è sbagliato provare a fare delle comparazioni, non siamo un aggregato di macchine, ma un “tutto” che definisce la vita»

“ChatGpt non pensa. E il cervello neppure?”. Un titolo con una domanda provocatoria, pensata per stimolare la riflessione e il dibattito a Trieste Next tra Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista, e il vicedirettore del Gruppo Nem con delega al Piccolo, Fabrizio Brancoli. Cosa si può definire come “pensiero umano”? E che cosa lo distingue da quello delle macchine, sempre più evolute e in grado di articolare non solo ragionamenti complessi, ma anche forme di creatività?
La risposta sta, secondo Benasayag, nella “riflessione all’alterità”, nel capire quale sia la differenza fondamentale tra i due. «È sbagliato chiedersi cosa manchi a ChatGpt per diventare come noi, perché non c’è comparabilità – è la premessa –. Noi non siamo un aggregato di moduli e macchine ma un tutto, una finitudine esistente che definisce la vita». Perciò, se da un lato, ChatGpt si definisce come un insieme di algoritmi e meccanismi “infiniti”, che possono essere soggetti a continue modifiche, dall’altro l’essere umano è composto da un solo corpo, per definizione un’entità finita, nel quale sviluppa pensieri e ragionamenti, ma anche emozioni, angosce, desideri. Una differenza incomparabile perché «ChatGpt funziona mentre l’essere umano vive ed esiste».
In questa prospettiva, quindi, cosa distingue il ragionamento del cervello umano da quello “digitale”? Ironicamente, Benasayag risponde che sarebbe corretto affermare che neanche il cervello “pensa”, nel senso che non produce automaticamente dei ragionamenti. Spiegandosi meglio, chiarisce: «L’Ia generativa funziona a partire da una densità statistica, prendendo i valori più vicini per correlazione e articolandoli tra loro per dare una risposta. Il cervello parzialmente condivide questo tipo di funzionamento automatico, ma allo stesso tempo è in grado di ragionare sul “margine”, su tutto ciò che è minoritario e raro e fuoriesce da questa rete di correlazione». In questo contesto, il “pensiero umano” e la “creatività umana” si basano, non solo sul ragionamento astratto, ma anche sulle proprie esperienze corporee, sensoriali ed emotive. «Per quanto ChatGpt possa calcolare un sacco di cose, non potrà mai sentire – conclude Benasayag –. È errato paragonare una forma di esistenza con un metodo di ragionamento».
Nonostante questa grande differenza, esiste però un legame stretto tra umano e “digitale” e le nuove tecnologie stanno modificando proprio questo rapporto. Innanzitutto da un punto di vista neurofisiologico. Come per altri dispositivi elettronici, l’utilizzo frequente di ChatGpt sta inibendo alcune aree del cervello. «Nei miei studi, per esempio, ho visto che dopo anni di utilizzo del navigatore digitale, l’area del cervello che si occupa di cartografare spazio e tempo si sta atrofizzando – sottolinea –. Il cervello delega le funzioni e ciò che non si usa si atrofizza».
Allo stesso tempo, c’è anche un impatto sociale. Per Benasayag, la società dell’ “iperproduttività” sta trasformando il “vivere” in un “funzionare”, facendo diventare il cammino dell’uomo una serie di compiti e obiettivi da raggiungere in un tempo determinato. «Per esempio ai giovani viene detto di “non perdere tempo” ma è proprio quella la fase in cui bisogna “prendersi il tempo”: per esplorare, per fare esperienze. Non è una perdita, è vita».
Il prodotto di questa società è la creazione di un “algoritmo della vita”, omogeneo, prestabilito e modellato secondo interessi economici, a cui gli individui devono avvicinarsi. In questo quadro “inquietante” però non bisogna rassegnarsi al pessimismo, Benasayag invita a «non essere catastrofici». «Bisogna cercare la vita» conclude, invitando ad assumersi la responsabilità del presente e a vedere le criticità attuali come una sfida. —
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