Bankitalia inguaia la nuova Triestina

TRIESTE «’na sola romana». O, come si dice in triestino, un «pacco». La fidejussione salvezza, quella che garantisce i debiti e il futuro della Triestina, rischia di non valere nulla. Proprio nulla. Perché il foglio da mezzo milione di euro che Silvano Favarato, il patron in pectore della squadra alabaradata, sventolava trionfalmente sotto gli occhi del giudice Riccardo Merluzzi e degli avvocati dei creditori lo scorso 17 dicembre, è stato cassato dapprima dal commissario nominato dal Tribunale Giuseppe Alessio Vernì e poi addirittura dalla Banca d’Italia.
La banca centrale della Repubblica italiana, infatti, il 29 dicembre, ha iscritto la società emittente della fidejussione, la Icir spa di Roma, nella black list degli intermediari finanziari «non abilitati al rilascio di garanzie» nei confronti di enti, amministrazioni pubbliche o a imprese o privati in genere. E il commissario ha già formalmente richiesto a Favarato la sostituzione della fidejussione “sola” con una emessa da un primario istituto bancario o assicurativo, fissando come data limite per la presentazione il 15 gennaio.
«Se il piano non sarà supportato da un’idonea fidejussione, il Tribunale prenderà gli opportuni provvedimenti», ha dichiarato lo stesso Vernì ricordando allo stesso tempo che «la fidejussione assumerà rilevanza di garanzia solo al momento della presentazione del piano di concordato prevista per il 29 gennaio».
Ma il commissario ha convocato già per oggi una riunione sul caso Triestina. All’ordine del giorno alcune questioni contrattuali relative alla cessione delle quote di Marco Pontrelli e la problematica situazione contabile che si è creata con l’uscita di scena dello studio Boscolo&Partners, cui era affidata la tenuta dei conti della società, proprio alla vigilia della richiesta di concordato in bianco.
Il caso fidejussione è deflagrato qualche giorno fa a seguito delle due mosse, indipendenti l’una dall’altra, di Vernì e Bankitalia. Il commissario, dopo i controlli, ha fatto una segnalazione al giudice «che, dal momento della mia nomina, vedo quotidianamente». La Banca centrale, a sua volta, ha iscritto la Icir nella black list.
Ma come mai la “carta” spettacolarmente esibita dal patron in pectore della Triestina, in un primo momento, è stata accettata? La risposta è presto detta: quel documento, allora, aveva un valore concreto. E cioè, formalmente, risultava in grado di garantire i creditori e il futuro della società Unione 2012 per la cifra di 500mila euro.
Poi, com’era suo compito, Vernì ha controllato tutte le carte della società emittente e ha scoperto due elementi quantomeno singolari e bizzarri che gli hanno fatto rizzare le antenne. Il primo è che il capitale sociale della Icir Spa di fatto non risultava interamente versato. E il secondo è che il patrimonio netto al 31 dicembre 2014, ultimo dato disponibile, ammontava a 600mila euro.
Come dire che se la fidejussione della Triestina fosse stata utilizzata per una necessità, la società romana avrebbe a sua volta dovuto teoricamente chiudere i battenti, perché sarebbe rimasta con appena 100mila euro in cassa. Troppo pochi.
Le perplessità del commissario hanno trovato conferma nelle successive decisioni della Banca d’Italia che, nero su bianco, ha dichiarato lo stop all’attività fidejussoria della Icir spa. La società, che ha sede a Roma in via Sistina 121, è stata costituita nel 2008. L’amministratore è Paolo Sanna. Soci titolari Valerio De Cesare e Antonio Consoli.
La Icir, come si legge nella visura camerale, «ha per oggetto l’esclusivo svolgimento nei confronti del pubblico delle attività finanziarie»: locazione finanziaria, acquisto di crediti a titolo oneroso, credito al consumo, credito ipotecario, prestito su pegno e rilascio di fidejussioni. Il capitale sociale deliberato ammonta a 10milioni di euro ma quello sottoscritto e versato, come appunto accertato, ammonta a soli 600mila euro.
La Icir Spa è stata individuata come “garante rossoalabardato” dal broker di Abbiategrasso Andrea Roberto Santillo, responsabile della società “Fidejussioni web”, al quale Silvano Favarato si è rivolto il 15 dicembre scorso, alla scadenza dei termini indicati dal Tribunale.
In un primo momento, infatti, il patron in pectore aveva fatto arrivare via mail agli uffici giudiziari una lettera di promessa di fidejussione ritenuta insufficiente. Due giorni dopo aveva fatto recapitare il documento in originale che era stato invece giudicato valido dal Tribunale. Poi, nei giorni successivi, l’amara sorpresa.
E adesso? «In stretto coordinamento col Tribunale - risponde Vernì - stiamo marcando stretto la società affinché tutte le problematiche ancora in corso vengano risolte entro il 29 gennaio (la data fissata dal giudice per la presentazione del piano, ndr). E già ben prima di questo termine sarà definita la questione dalla fidejussione».
Ma c’è poco da fare: il piano di concordato, senza garanzie, non può essere supportato. E quindi l’incubo fallimento torna ad appalesarsi. E l’agonia della Triestina continua.
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