Le comunelle “riconquistano” dopo un secolo i terreni storici

TRIESTE
Ora non ci sono più dubbi. Sui terreni ubicati nei comuni censuari di Opicina, Rupigrande e Gabrovizza, di proprietà delle locali comunelle dell’altipiano carsico, «non esistono usi civici a loro carico». Quei 460 ettari di territorio del Carso, da secoli curati da quelle comunioni familiari cui partecipano solo coloro che «li coltivano in forma diretta, promiscua e solidale, sulla base di regole consuetudinarie o di antichi statuti», rimarranno a esclusiva destinazione agrosilvopastorale.
C’è voluto un secolo ma, alla fine, è stata emessa in questi giorni una sentenza - della Corte di Cassazione, il supremo organo dell’ordinamento giuridico italiano, che assicura l’uniforme interpretazione delle norme di diritto - che l’ha dunque stabilito. E così ieri, in via del Ricreatorio, a Opicina, al termine dell’incontro nel corso del quale è stato illustrato il provvedimento della Cassazione, è stata gran festa. «Si tratta di una decisione storica – ha commentato Carlo Grgic, vicepresidente della Consulta nazionale della proprietà collettiva – in quanto ci sono voluti cent’anni per vedere riconosciute le ragioni delle comunelle».
Il contenzioso con lo Stato italiano iniziò infatti con la fine della Prima guerra mondiale. «La legge sulle proprietà collettive – ha ricordato l’avvocato Peter Mocnik, che ha difeso le comunelle nella lunga vertenza davanti alla Corte di Cassazione – in Italia non esisteva, mentre è sempre stata presente nel diritto germanico. Prova ne sia – ha aggiunto – che esse erano previste nell’ambito del sistema giuridico dell’impero asburgico». Per arrivare a tempi più recenti, va spiegato che, nel 1955, era stato emesso un bando commissariale il quale accertava che, sui beni immobili delle comunelle, possono gravare usi civici a favore del Comune di Trieste. Il tutto facendo riferimento a una legge nazionale del 1927, che stabiliva l’assoggettamento alle norme sugli usi civici dei terreni di proprietà delle comunelle. In altre parole, il Comune avrebbe potuto modificare la destinazione dei terreni.
Contro tale bando, nel 2008, la Comunella di Opicina aveva presentato ricorso davanti al Commissario regionale per gli usi civici. Il Comune si era opposto, vedendosi affiancato dalla Regione. La domanda della Comunella era stata respinta, in quanto il Commissario aveva ritenuto legittimo il bando del 1955. La Comunella si era allora rivolta alla Corte d’Appello di Roma, sezione Usi civici, ma anche in tale occasione la decisione le era stata avversa. Inevitabile a quel punto rivolgersi alla Cassazione.
Con la sentenza illustrata ieri, la Cassazione innanzitutto riconosce alle comunelle la caratteristica di soggetti di «dominio collettivo, che esprimono la comunione di un unico e complesso diritto, definito “jus”, iscrivibile nei libri fondiari, comune ai discendenti degli autoctoni e dei proprietari collettivi dei terreni, ivi insidiatisi ab immemorabile».
Nel testo la Cassazione ribadisce, come detto, anche che «i terreni delle comunelle non sono assoggettabili alle norme sugli usi civici, in quanto proprietà collettive preesistenti alle leggi emanate dallo Stato italiano in materia».
Per quanto concerne il famoso bando commissariale, esso «non può produrre effetti per carenza del corrispondente potere amministrativo». In sostanza, esso si baserebbe su una norma, quella del 1927, successiva a quella secolare, istitutiva delle comunelle. Una situazione improponibile per l’ordinamento giuridico italiano. —
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