Rok Bicek, dieci anni a girare la vita di Matej

TRIESTE. È ancora una volta l’adolescenza, brumosa terra di mezzo al di qua della linea d’ombra, al centro del mirino di Rok Biček. Il regista sloveno, scoperto nel 2013 dalla Settimana Internazionale della Critica di Venezia con “Class Enemy”, è ospite del Trieste Film Festival per presentare il suo nuovo film “The Family” (oggi, 23 gennaio, alle 16 al Rossetti), vincitore l’estate scorsa alla Semaine de la Critique al Festival di Locarno e primo grande esempio di cinema del reale in Slovenia.
Un progetto intenso, coinvolgente, che ha avuto origine più di dieci anni fa, quando Biček era solo uno studente di cinema. Al secondo anno del suo percorso di studi, gli è stato affidato il compito di realizzare un breve documentario. L’idea era quella di girare un corto a sfondo sociale, il cui tema avrebbe dovuto essere l’integrazione delle persone affette da sindrome di down nella società. È in quell’occasione che il regista, allora aspirante tale, ha incontrato per la prima volta “la famiglia” del suo film. Una famiglia particolare, che qualcuno in paese aveva soprannominato “gli Addams”, additata come un nucleo di “strambi”. In un primo momento il racconto avrebbe dovuto concentrarsi su Mitja, il fratello maggiore di Matej, portatore di handicap come la madre. Poi però le parti si sono invertite. Matej, unico componente “normale” della sua famiglia, «doppiamente outsider» – spiega il regista – «pecora nera sia all’interno della società, che dentro le mura di casa» è diventato il protagonista di questo originalissimo, quanto struggente e doloroso, coming-of-age.
A quattordici anni il ragazzo deve fare i conti con il difficile ambiente in cui sta crescendo. Il tempo passa. A soli vent’anni Matej diventa padre. La nascita della piccola Nia, però, non basta a evitare il fallimento del nuovo nucleo familiare. Abbandonato dalla fidanzata due mesi dopo il lieto evento, Matej è costretto a far ritorno a casa e ad affrontare una battaglia legale per l’affidamento della bambina. Un’idea di famiglia tutt’altro che consolatoria, un quadro che sembra uscire direttamente dalle pagine de “La vita degli uomini infami” di Foucalt. «Ero attratto dall’energia di Matej, dal suo essere ruvido, acerbo, intenso», ricorda Biček, che per il suo lungometraggio ha raccolto più di 120 ore di materiale nell’arco di dieci anni.
«È così che è cominciato – prosegue –. Con quell’incontro. Ho realizzato questo piccolo documentario di 35 minuti, ho completato gli studi, ho girato alcuni corti e poi il mio primo film. Ma in tutto questo tempo sono sempre rimasto in contatto con Matej. Quando condividi un’esperienza così intensa, non ne puoi uscire come se niente fosse. Abbiamo passato anni insieme. Sono diventato uno della famiglia, in un certo senso. E un giorno ho voluto riprendere a girare».
Se “Class Enemy” poggiava su una sceneggiatura solidissima e severa, “The family” è invece un film radicalmente libero. Non c’è sceneggiatura. È cinema nel suo farsi, è la vita che diventa cinema davanti all’occhio di un obiettivo. «C’è voluta una grande fiducia reciproca. E ci sono stati alcuni momenti davvero difficili. Ero come una spugna, assorbivo tutti i conflitti che mi circondavano. Matej i conflitti li cerca e anzi li provoca, questo è l’unico mezzo che ha per sentirsi vivo. Se oggi mi chiedessero di ripetere l’esperienza – ammette Biček – non so sinceramente se ne avrei il coraggio».
E sarà nuovamente un bambino, questa volta di sei anni, il protagonista del prossimo progetto cui Biček sta già lavorando. Si tratta dell’adattamento del romanzo best seller “Dark Mother Earth” dello scrittore croato Kristian Novak. Il regista, evidentemente attratto dalle storie che coinvolgono giovani e giovanissimi, interessato in particolare a scrutare il passaggio dall’età dell’innocenza all’assunzione di responsabilità, talvolta in conflitto con le istituzioni e la società, è stato coinvolto dalla produzione “Antitalent” per lo sviluppo del film. A conferma del talento di un giovane autore di cui sentiremo ancora molto parlare.
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