Kobilka: «Il Nobel? Grazie alla fortuna e alle persone giuste che ho incontrato»
Il premio Nobel per la Chimica 2012 ospite a Trieste Next: «Non è un buon momento per la scienza, le possibilità di collaborare sono state limitate»

Modesto e schivo, il premio Nobel per la Chimica 2012 Brian Kobilka studia i recettori accoppiati alle proteine G (Gpcr), che sono quelli che, spiega, «ci permettono di sentire il profumo del caffè e i sapori del cibo». Le ricerche sulla struttura di questi recettori hanno avuto un impatto importante per lo sviluppo di farmaci sempre più accurati.
Professor Kobilka, come si può spiegare in modo semplice che cosa sono i Gpcr?
«Sono proteine che si trovano in tutte le cellule del corpo. Ci sono circa 800 recettori differenti, e aiutano le cellule a rispondere agli stimoli di neurotrasmettitori e ormoni. Per esempio, se cerco di scappare da un predatore voglio che aumenti il mio battito cardiaco, così da essere in grado di correre più veloce. L’adrenalina è rilasciata nel corpo, e questa agisce sul Gpcr beta che fa battere il cuore più veloce. Gli altri ormoni e neurotrasmettitori che funzionano in questo modo sono dopamina, serotonina, oppiodi, cannabinoidi. Il maggior numero di questi recettori, circa 400, sono responsabili per l’olfatto, alcuni per il gusto. Sono un tipo di proteine della membrana cellulare molto importanti e pure un importante classe di target per i farmaci usati per curare una vasta gamma di malattie».
Ci può spiegare il contributo che le è valso il Nobel?
«Il mio contributo è stato una clonazione di questi recettori, ma il mio laboratorio si è specializzato nell’ottenere strutture ad alta risoluzione di questi recettori. Abbiamo ottenuto la prima struttura di un ormone che attiva un Gpcr nel 2007, e poi nel 2011 struttura un recettore che attiva la sua proteina G».
Ci sono applicazioni delle sue scoperte che magari usiamo ogni giorno senza saperlo?
«Chi ha la pressione alta o il diabete usa farmaci che lavorano su questo tipo di recettori, è dunque possibile che lo sviluppo di questi farmaci ha avuto benefici dal conoscere le strutture di questo tipo di recettori».
L’Ai sta cambiando il suo campo?
«Difficile a dirsi, è ancora tutto molto nuovo. Ma va detto che si è in grado di ottenere strutture abbastanza accurate di Gpcr senza usare biologia strutturale, cristallografia o elettromicroscopia. Solo con la sequenza di amminoacidi del recettore, l’Ai è capace di predirne la struttura tridimensionale».
David Quammen ha detto che la scienza – sia in termini di finanziamenti che di diffusione di pensiero antiscientifico – è sotto attacco come mai dai tempi della Santa Inquisizione, è d’accordo?
«Direi che è sotto attacco in un modo che non si è mai visto, almeno nella mia vita. Penso che non sia un buon momento per la scienza. La nostra abilità di collaborare e interagire con scienziati da altri Paesi del mondo è stata limitata e le risorse tagliate. È un danno perché la ricerca di base con fondi Nih (l’agenzia di ricerca medica del governo Statunitense ndr) ha avuto un effetto di traino dell’economia, dallo sviluppo di nuove terapie, a nuove invenzioni che hanno migliorato la nostra vita e hanno contribuito all’economia degli Stati Uniti».
Come si può uscire da questa situazione?
«Il modo più semplice è vincere la prossima elezione, in particolare al Senato e alla Camera, almeno per rallentare gli effetti negativi, finché non riusciremo ad avere una nuova amministrazione».
Come è cambiata la sua vita dopo il Nobel?
«È stata un’esperienza che mi ha stravolto la vita, sono stato invitato a tenere molte conferenze e la gente pensa che un premio Nobel sia molto più autorevole di quanto lo sia veramente solo in virtù di questo premio. Direi che comporta essere sotto i riflettori, cosa a cui non mi sono ancora abituato, e molte richieste di tenere lezioni in giro per il mondo. D’altra parte grazie a questa esperienza sono riuscito a vedere molti Paesi e conoscere tantissime persone. È una cosa che ti cambia la vita, ma se dovessi tornare indietro non lo rifiuterei. Certo, penso che sarebbe stato più facile se avessi vinto il premio a un’età più avanzata, nel momento in cui la carriera scientifica inizia a rallentare».
Qual è il segreto del successo che porta a vincere un premio Nobel?
«Non so mai rispondere a questa domanda. Sono stato molto fortunato: mi sono interessato a un’area molto importante della biologia. E quando ho iniziato non sapevo che che c’erano così tanti recettori. All’inizio si pensava che ne esistessero una decina. Ho avuto anche la fortuna di entrare a far parte di un laboratorio che era all’avanguardia nella ricerca e ho avuto un bravissimo mentore. Si potrebbe dire che alla fine dipende dalla fortuna e dall’incontrare le persone giuste al momento giusto. Tutto quello che ho raggiunto non è stata una cosa che ho fatto da solo, ho avuto aiuto da studenti, postdoc e molti collaboratori».
Qual è l’area della scienza che la emoziona di più?
«So quello che interessa a me, ma non penso che mi si debba ascoltare solo perché ho un Nobel, ogni scienziato ha il suo campo d’interesse. Per me i Gpcr sono ancora molto interessanti. Non abbiamo ancora capito alcuni comportamenti di base di questi recettori: ad esempio perché uno specifico recettore attiva un tipo specifico di proteina G. Un’altra cosa a cui non si pensa spesso è che le proteine non sono strutture rigide ma hanno un carattere dinamico. Non sappiamo quanto è importante per il loro signalling o la nostra abilità di regolarli con i farmaci».
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