La carrozza è pronta a partire per l’ultimo viaggio di un uomo maltrattato

Allorché, con la sua vocetta stridula, la signora M. lo assaliva per tormentarlo con qualche nuova, perentoria, improcrastinabile sciocchezza - inventata lì per lì solo allo scopo di manifestare la sua autorità o sfogarsi a caccia di un litigio - il dottor B. escludeva l'audio, prontamente, come se il suo cervello, per proteggersi, regolasse sullo zero una sorta di apparecchio acustico. Poco prima di aver annuito, senza sapere a cosa, ed essersela filata nel proprio studio, per qualche istante assimilava soltanto il gesticolare della donna davanti al suo naso. Nonostante la loro differente statura che non avrebbe dovuto renderle agevole la manovra, la signora M., la piccola signora terribile, abitualmente aggraziata, flessibile e agile quanto una bitta, riusciva in modo inspiegabile ad allungarsi verso l'alto. Stirava la schiena, il collo e gli puntava in faccia un indice grassoccio, come una pistola con il colpo in canna.

Prima o poi glielo azzannerò – aveva pensato spesso il dottor B.
Ma se l'era sempre filata prima di avere una reazione mordace. Meglio andare a rifugiarsi nel lavoro, nel suo studio, dalla cui finestra poteva seguire lo scorrere del traffico cittadino. Preferiva saltarlo con lo sguardo, il traffico, come un ostacolo, andare oltre, dove poteva intuire, più che effettivamente vederlo, il Museo Ferroviario. Da sempre lo affascinava, con i suoi treni storici che gli raccontavano, rianimandosi sui binari della mente, epoche alle quali si sentiva ben più affine che a quella che gli era capitata in sorte.
Si recava spesso al Museo. Se fantasticava di poter scappare si vedeva salire in una di quelle vetture, come se, tra sbuffi di vapore, avesse potuto fare un lungo viaggio circolare per poi scendere in un'altra Trieste, o in un'aperta campagna, magari a fare il medico condotto, di quelli a cui ci si affidava come a una figura che ne racchiudeva tante insieme. Il dottor B. vedeva più la malattia che il paziente eppure aveva una sorta di curiosa empatia per le collettività, un maggiore genuino trasporto per un borgo, una valle intera, che per i singoli.
C'è chi sostiene che le passioni possano essere deleterie e condurre l'uomo (o la donna, certo) verso un'inenarrabile rovina. Su questo il dottor B. avrebbe avuto molto da ridire. Ignifugo, per ragioni costituzionali, a fuochi di esaltazione, si era trovato comunque con un disastro di donna diversamente piromane in casa. Una moglie ingombrante e armata in modo improprio di una falange sempre carica, nonché di una fede nuziale che, purtroppo, le aveva infilato lui stesso all'anulare.
Gli riusciva difficile credere che con un'insana passione sarebbe potuta andargli peggio! Ponendo a confronto le foto del giorno del matrimonio con l'aspetto attuale della signora M. un occhio esterno non avrebbe notato grandi differenze, ma per il dottor B. era come se la moglie avesse intrapreso ben presto una caduta libera e inesorabile verso l'obbrobrio, pur partendo dalla maschera quieta e amorevole che gli aveva propinato in prima istanza.
Altrettanto difficile era credere che fosse esistito un giorno in cui aveva valutato, lui, che legarsi per sempre alla signora M. fosse un'idea passabile, buona perché di stampo squisitamente razionale.
Una scomoda compagnia
Non era mai stato dedito all'alcol, il dottor B., neanche dopo quel disgraziato matrimonio, figuriamoci prima in un'esistenza un tanto ingessata e noiosa, ma priva di grandi frustrazioni e scosse. Eppure, rispetto alla sua disavventura sponsale, percepiva se stesso come chi, svenuto nel sonno dopo una sbornia feroce, si risveglia la mattina tra stupore, sgomento e quel tanto di orrore, con accanto una sconosciuta, trovata chissà dove e chissà come. Più chiaro gli era il perché. A fregarlo erano state anche le così brave persone che gli avevano fatto notare che giunto alla sua non più verdissima età una compagnia gli avrebbe fatto bene e che quella vedova potesse proprio fare al caso suo.
Il dottor B. era sempre stato refrattario ai legami e ai sentimenti. Anche lo spauracchio di una vecchiaia solitaria che in tanti gli rimarcavano non gli pareva poi un'ipotesi terribile. Con l'andare del tempo, però, il continuo ricorrere altrui a quegli argomenti si era fatto asfissiante, come il cogliere, con sincero impiccio, l'ammiccare di signorine e signore a suo indirizzo. Aveva quindi, in sostanza, usato la signora M. come una specie di palla da bowling per stendere, in via definitiva, una serie di birilli.
Troppo era andato storto invece, sebbene avesse fatto strike.
La sola cosa bella che la palla, cioè la signora, aveva portato nella sua vita era Lea, la dolce Lea, con la sua candida pelle e le gote rosee, quel sorriso sincero. Lea, che al dottor B. ricordava la virginale purezza delle fanciulle in vecchie foto stampate all'albumina. Lea, l'energia risanatrice, gioia di vivere, allegria di una risata cristallina, luce che entrava nella dimora che la signora M. rendeva cupa anche nella più assolata stagione.
Lea, figlia della signora M., una faccenda che al dottor B. sembrava uno scherzo della natura e tanto più vedendole insieme. La giovane, minuta come la madre ma estremamente graziosa, aveva preso la fisionomia del volto dal padre, defunto. Lo testimoniava un ritratto di costui che ostinatamente stava nel salotto del dottor B. su un centrino, con un ornamento di atroci fiori polverosi, riusciti ad appassire pur essendo di carta. L'uomo era la copia al maschile della figlia, però senza il suo sorriso.
Non che fosse arduo indovinare il perché... Forse aveva preferito morire piuttosto che vivere un minuto ancora con la signora M., restava però prigioniero in quel ritratto. Messo là un po’ in castigo e un po’ in bella mostra, magari per continuare, la signora M., a sparare in faccia al poveruomo, post mortem, il suo indice grassoccio. Al dottor B. non sarebbe parso un gesto improbabile per lei. Chissà se il poveretto, il dito salsiccioso, in vita glielo aveva morso per davvero... Non poteva più comunque fare da spalla al dottor B. le cui giornate coniugali erano mitigate soltanto dalla presenza di Lea. Mai si era schierata contro la madre, però lo aveva sempre fatto sentire compreso, incluso.
Se c'era una donna a cui aveva saputo voler qualcosa di molto prossimo al bene era quella ragazza di cui si era ritrovato e sentito padre. Per lei provava un'ammirazione mista a un sincero stupore, per come riuscisse a sopportare la propria terribile genitrice. La signora M. non trattava la figlia meglio del secondo marito, ma Lea era una creatura dotata di una dote miracolosa che forse il Signore le aveva profuso a compensare il disagio di una madre acida, arrogante, petulante, ignorante e insopportabile. Lea, una farfalla che riusciva a posarsi con una delicatezza impalpabile persino sulla raffica di smorfie, scemenze, ghigni, lagne, rimostranze che la donna le propinava. Era come se, fin da piccolissima, avesse imparato a fingersi morta, impermeabile davanti alla madre pur essendo assolutamente viva e sorridente. La signora M., egocentrica e stupida com'era, di tale magia non poteva rendersi conto, ma il dottor B. sì.
A Lea la madre non puntava l'indice, non faceva in tempo. Lea riusciva a svincolarsi, apparentemente senza fare un bel niente. Farfalla dai meravigliosi colori, più di quanti fossero visibili a sguardi poco attenti, riprendeva il suo volare leggiadro, lasciando la genitrice là dov'era.
Questo evento straordinario si ripeteva più volte al giorno senza smorzare di una virgola l'affascinata incredulità del dottor B.
Mai aveva chiesto direttamente alla ragazza: - Come fai? - non tanto per rispetto del legame di sangue tra le due donne quanto temendo di spezzare un'immunità a lei favorevole.
Il destino non era stato bizzarro soltanto mettendo sul cammino del medico una pessima moglie e un'adorabile figlia: aveva poi conosciuto il giovane Enrico e si era sentito padre anche di un figlio maschio. Enrico gli era capitato nella vita un giorno di pioggia, talentuoso studente di medicina fuori sede, con una famiglia d'origine ridotta all'osso già nella sua più tenera età, lasciandolo privo di affetti e fortunatamente non di proventi. Il giovane e Lea, che a lungo non si erano mai incontrati, avevano in comune l'aver conosciuto ben poco calore da bambini, non aver potuto avere un'amorevole educazione, quanto l'essere simili in una naturale grazia, eleganza, cortesia di modi e dolcezza d'animo. In Enrico il dottor B. aveva ravvisato anche un degno erede nella professione.
Come mai il dottore non aveva mai fatto incontrare due persone da lui così stimate? La risposta la ebbe il giorno in cui, mentre stava discorrendo con Enrico, la dolce Lea fece capolino sulla porta del suo studio, dopo aver bussato con garbo. Il dottor B. colse in un istante la “scossa” tra i due. Un palpabile imbarazzo si diffuse nella stanza, per diverse ragioni. Per una manciata di secondi quello che sentiva nascere tra i giovani parve al medico quasi un incesto. Si rese conto ben presto che avevano l'assoluta facoltà di intessere una relazione, ma ciò non lo acquietò. Mentre il loro idillio via via prendeva piede, nelle settimane seguenti il dottor B. iniziò a perdere il sonno o averlo denso di incubi.
Al risveglio non li rammentava nel dettaglio ma gli restava dentro una pesante inquietudine. Razionalizzò: Lea sapeva proteggersi dalla signora M., ma Enrico? Sarebbero riusciti i due, che ancora non le avevano palesato il loro amore, a difendersi dalla sua negatività? Un'ansia esagerata lo invase, iniziò a sentire in sé un demone sconosciuto. Interpretò la propria angoscia come un suggerimento a eliminare la moglie quale augurio di prosperità ai “suoi ragazzi”. In quel febbrile crescendo di malessere sentì di essere riuscito a recuperare lucidità solo quando invitò Lea in quel luogo per lui dal senso profondo, trovando il coraggio di affrontare il discorso sulla signora M., per spiegarle che lei e Enrico avrebbero sempre avuto il suo appoggio.
protezione mortale
Adesso stavano dunque seduti in carrozza come se sul serio quel treno fosse prossimo alla partenza. Lea, premurosa visto il caldo, gli offrì un po’ di the da una bottiglietta.
–Alfredo carissimo, - iniziò - è tanto difficile essere donna e sensibile!
Il dottor B. annuì, partecipe. Forse lo stava togliendo dall'impaccio di cominciare lui un certo discorso.
–Io – continuò Lea - ho sempre capito e capisco quando sia dura per mia madre, dolce com'è.
L'annuire del dottor B, ebbe una brusca battuta d'arresto. Dolce la signora M.?
–Ho sempre sentito la responsabilità di proteggerla – andò avanti la giovane - lei così fragile, così buona da non cogliere chi non è alla sua altezza, per poi soffrire. Ad accorgermene io, Alfredo, io! E dover combattere in me, per reggere il suo inconsapevole dispiacere, quasi dovendo ribaltare la mia coscienza, tentando di arrestare il suo grido disperato!
Il grido di chi? Era sempre più disorientato. E Lea così strana. Un sorriso sinistro, un volto febbricitante. E i suoi occhi erano diventati scuri e profondi come due voragini. Continuava il proprio monologo.
- Mio padre... un brav'uomo? Sì, ma così mediocre, così pesante, così poco attento... Povera donna! Ed Enrico? Non una cattiva persona, anche no, ma così poco consapevole, così... Vedi? Mi si stringe il cuore e non riesco a trovare le parole. Immagino il suo entrare in casa nostra a tormentare mia madre! - si mise le mani sugli occhi. - Sta entrando nella nostra vita! Avrò un sacco da fare. Tu comprendi?
A dire la verità no, pensò il dottor B., troppo sconcertato per parlare.
–Te lo spiego, Alfredo, mi sei caro. Riesco a occuparmi di un uomo alla volta nel proteggere la mamma. Papà dovette andarsene, c'era già uno zio, così prepotente. Non me ne vuoi, vero di no, se adesso che sarete in due tocca a te andartene?
- Andarmene dove? - stavolta la voce, anche se debole, uscì.
–Ho immaginato – sorrise Lea – che ti avrebbe fatto piacere partire da qui.
Si alzò mentre il dottor B., sentendo le gambe molli e la gola secca, la guardava, incredulo, allontanarsi lungo il corridoio.
–Ci vorrà poco perché il veleno faccia effetto – lo rassicurò. Poi, rapidamente: – Il custode non ti sentirà. Ah, non troverai il cellulare nel borsello, casomai volessi chiamare aiuto. L'ho preso io. - E sorrise di nuovo, con un cenno di saluto, prima di chiudere la porta che separava le carrozze.
Il dottor B. pensò che per classificare realmente ciò che aveva ascoltato avrebbe avuto bisogno di molto molto tempo. Pochissimo ne aveva invece per non morire. Con forze residue prese un cellulare dalla tasca - ne aveva due - per chiamare un'ambulanza. A volte non è poi un male essere nati nell'epoca sbagliata. —
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