La musica del vento può costare la vita al maestro del conservatorio

Fuori il Borino sta salendo e in casa tutti i tubi cominciano a parlarsi con le note che rimbalzano da una stanza all’altra in crescendo e poi adagio, da una raffica alla successiva
Un urlo e poi silenzio. In via Belpoggio dormono tutti, a recuperare il sonno di una notte da uragano: la Bora ha soffiato senza sosta giocando a domino con i motorini, agli autoscontri con i cassonetti, a guardie e ladri con gli psichiatri di turno. Le raffiche hanno stravolto i deboli di nervi, ma anche i sani di mente non hanno fatto altro che rigirarsi tra le lenzuola come in preda al ballo di San Vito. Così, alle 6.22, la città dorme un sonno di tregua e nessuno sente l’urlo al numero 9 di via Belpoggio. Il sole continua a salire tranquillo. 
 
 
Alle 7.30 il telefono squilla in casa Bonora. Giuliana Bonora non ha chiuso occhio tutta la notte pensando ai ciliegi che ha fatto piantare da poco in un terreno di famiglia verso San Dorligo. Sono ancora fragili rametti e nessuno le ha consigliato di mettere qualche protezione contro il vento. Preoccupata per gli alberi e innervosita dal sonno pacifico del marito che russava senza scomporsi, alle 7.00 Giuliana si è infilata il giaccone pesante sopra il pigiama ed è salita in macchina per andare a controllare i danni. Giorgio Bonora, detto il Capo, ha continuato a dormire.
 
 
Da qualche mese il lavoro si è alleggerito: l’attenzione cittadina è tutta sugli stranieri, come se questo potesse essere un tema per una città aperta sul mare e sul confine. L’ultima azione seria per Bonora risale all’estate scorsa: l’indagine del Civa l’avevano ribattezzata i suoi dell’ufficio investigativo, e forse qualcuno ancora se ne ricorderà perché era finita sulle pagine del Piccolo. Il telefono squilla e Giorgio Bonora balza in piedi credendosi in mezzo a una sparatoria. 
 
In quella stanza zeppa di cimeli nazisti l’ombra nera delle SS
 
«Capo? Scusi se la chiamo a quest’ora… forse anche lei stanotte… cioè, intendo dire, la Bora… ecco, non voglio dire…».
«Mazzon! Farò in tempo a essere mangiato dai vermi di Sant’Anna prima che tu impari a spicciarti. Al punto Mazzon!». 
«Sì, Capo, giusto. Ecco, mi sono permesso, cioè anche gli altri erano d’accordo…».
«Mazzooooon!».
«C’è un morto al museo della Bora».
«Un morto?».
«Pensavamo fossero due, a dire il vero. La signora Ines…».
«Cosa c’entra Ines?».
«La signora delle pulizie, Capo».
«Lo so chi è Ines, da prima che tu nascessi! Cosa le è successo?».
«No, alla signora Ines niente, è sola svenuta».
«E allora?».
«Ecco Capo, c’è un morto. Al museo. La signora Ines ha identificato il corpo…».
«Avete fatto identificare il corpo a quella povera donna?».
«Be’, ecco, Capo, è stata lei a trovarlo, stamattina presto, quando è entrata per le pulizie…».
«Mazzon!».
«Il cadavere è di Luciano Peric».
 
Un pizzico di giusquiamo e il veleno fa tacere per sempre l’insopportabile mogliettina
 
Giorgio Bonora è seduto in mutande sul bordo del letto. Nemmeno si accorge che Giuliana è rientrata. Luciano Peric. Il violinista. Il miglior maestro che il conservatorio della città abbia mai avuto. Luciano Peric che alle feste del liceo suonava senza sosta per evitare di ballare con le ragazze. Per anni aveva perso le tracce di quel caro amico. Poi, un anno fa, l’aveva incontrato a un bar di San Giacomo e l’aveva trovato colmo di amarezza. Il conservatorio aveva da sempre pochi iscritti, ma stabili, poi era arrivato un nuovo direttore e si era messo in testa che dovevano essere più popolari: basta con Schumann e Bartók, perdiamo studenti! Dovete aprirvi al mondo! E allora via nuovi corsi di trap e reggaeton. Con il prevedibile risultato di aver fatto storcere il naso a tutti gli abituali iscritti, senza peraltro aver destato il benché minimo interesse in un nuovo pubblico. Il risultato: il conservatorio aveva chiuso quasi tutte le classi e Luciano Peric era stato mandato a casa con un incentivo all’esodo. «Incentivo all’esodo» aveva ripetuto incredulo. Bonora gli aveva dato una pacca sulla spalla e si era ripromesso di invitarlo a cena. 
 
La carrozza è pronta a partire per l’ultimo viaggio di un uomo maltrattato
 
Ora il corpo di Luciano Peric è chiuso in una teca tra i barattoli e le bottiglie dei venti. Ma com’è arrivato lì? «Questo è tutto quello che siamo riusciti a mettere insieme» dice Mazzon allungando un plico di fogli. 
Il corpo è stato trovato nudo (da qui l’urlo di Ines) tra i venti imbottigliati. Nessun biglietto, ovunque impronte di visitatori e personale del museo, da un primo sopralluogo in casa niente di rilevante, niente mogli o figli o amanti, o contrasti particolari. «Oh andiamo! » aveva incitato Bonora. «Qualche litigio, qualcuno che per qualche ragione gli voleva male ci sarà! Con i tempi che corrono basta che uno esca in mutande in ballatoio e urta il decoro del vicino che lo fa fuori, legittima difesa». I ragazzi non ridono, sono preoccupati dalla totale assenza di indizi. 
 
Massimo assomiglia così tanto al marito. E il déjà vu è mortale
 
«Dove abitava Peric?».
«In Carso» dice torvo Mazzon. «Tra Sales e Sgonico». «Vado a dare un’occhiata. Voi intanto sentite gli ex colleghi del conservatorio». Bonora scavalca la rete dissestata che circonda il giardino: più che un giardino un bosco abbandonato che separa la casa di Peric dalla strada. Dentro lo spazio è angusto, due stanze e una cucina, vecchi muri attraversati da tubi enormi che devono risalire a chissà quale epoca e per chissà quali ragioni termiche. Tutto ordinato, nessun segno di forzatura. Un’unica foto in tutta la casa, una donna di mezza età con i capelli corti e gli occhiali rossi alla moda, una foto dai colori recenti. Bonora se la infila in tasca e torna in città. Qualche giorno dopo Mazzon chiama: ha una pista. Un addetto del museo ha riconosciuto Peric, dice che da mesi andava lì ogni pomeriggio e incontrava una donna. Non si parlavano, leggevano insieme i brani sulla Bora, si incantavano davanti all’archivio dei venti dal mondo, poi uscivano e si separavano come due clandestini. 
 
C’è un custode che gira bendato come una mummia e sa fare il moonwalk
 
«Sapete chi è la donna?».
«No, ma abbiamo fatto fare uno schizzo a partire dalla descrizione». Bonora non ha bisogno di vedere il disegno per essere sicuro che assomiglia a quella della foto. La recupera dalla tasca della giacca dove l’aveva abbandonata e la toglie dalla cornice. È stampata su carta scadente. Dietro la scritta: “A Luciano, musica della mia vita. Alma”. Be’, il nome è già qualcosa, pensa Bonora. Che ci facevano Alma e Luciano ogni pomeriggio al museo della Bora? Perché proprio lì? E perché quell’aria clandestina? 
I ragazzi di Bonora ci impiegano due settimane a capire che Alma è Alma Degrassi, figlia di uno dei grandi velisti della città. Nubile. Di lei si dice che abbia rifiutato molti pretendenti o che li abbia messi in fuga il padre che per lei sognava un destino per mare, senza lacci sulla terraferma. Aldo Degrassi ha fama di despota e uomo volitivo, per di più, la casa dove abita con la figlia è a pochi passi dal museo. «Portatelo qui e interrogatelo!». tuona Bonora. «Ma con discrezione. Ci manca solo che inizi a immischiarsi mezza città». Bonora sa che ai caffè in molti iniziano a notare che le indagini non stanno portando a nulla. Interrogherà lui stesso Degrassi, gli caverà una confessione a costo ti tenerlo tutta la notte. 
 
Povero furetto stecchito non aveva nessuna colpa delle tresche di Fumiaki
 
Mazzon lo chiama poco dopo: «Capo, Degrassi è irreperibile. È partito per una regata nel sud della Francia un mese fa». «E la figlia?». «Abbiamo parlato con la vicina. Dice che quando il padre non c’è Alma ne approfitta per dormire dal suo moroso». «Ma se è morto! » si lascia sfuggire Bonora, poi si corregge: «E chi sarebbe questo fidanzato?». «La vicina dice che è il direttore del Conservatorio, quello arrivato l’anno scorso da Udine». 
Il direttore del conservatorio? Musica della mia vita un corno! Ma guarda te, pensa Bonora, mai fidarsi delle donne. Non fa neanche tempo a formulare il pensiero che Giuliana si sporge dalla cucina guardandolo storto. Quella donna è un demone! Forse dovrebbe chiederle aiuto per l’indagine. «Andate a casa del direttore. È ufficialmente indagato».
 
 
Dopo quattro ore di interrogatorio Bonora conclude che quell’ometto senza capelli e con un tic all’occhio sinistro non gli piace per niente, ma non è un omicida. Tra lui e Peric non si può dire che corresse buon sangue, violinsta sopraffino l’uno, uomo di corridoi e reggaeton l’altro. Ma da lì a soffocarlo il passo è troppo lungo. Già, soffocato… anche la modalità della morte non gli è di nessun aiuto. E poi c’è la questione di Alma, che andrebbe sentita. Ma Alma sembra essere sfuggente. Chi è Alma Degrassi che dichiara amore a tutti ma non sta con nessuno? Due mesi dopo Bonora è al punto di partenza. Alma è svaporata, i ragazzi hanno perso slancio e si sono fatti assorbire da altre indagini, il caso è passato di moda in città. 
È tempo di osmizza e Giuliana, vedendo il marito sempre più pensieroso e accigliato, con un sotterfugio da femmina riesce a staccarlo dalle carte e portarlo all’aria aperta. L’osmizza sulla salita di Sgonico è da sempre la loro preferita. Si concedono uova sode, ombolo e diversi bicchieri di Terrano. Finiscono per passeggiare mano nella mano come quarant’anni fa. Passano davanti al bosco che nasconde la casa di Peric, la rete è sempre scalcagnata e gli alberi sempre più selvaggi. Giorgio la indica alla moglie e lei con spavalderia dice: «Me la fai vedere?». 
«Non c’è niente da vedere».
«E tu fammi vedere lo stesso».
 
Quel paesaggio innevato di Morandi ora deve tornare al suo posto
 
Perché no, si dice Bonora. Abbassa con una mano la recinzione perché Giuliana la scavalchi senza pericolo per le calze sottili. «Ma facciamo in fretta» perché si sta alzando Borino ed è diventato suscettibile alle variazioni climatiche. Dentro tutto è rimasto com’era, ma un po’invecchiato. Il posto della fotografia è vuoto, nessuno l’ha reclamata. «E questi cosa sono?», osserva Giuliana toccando i grossi tubi alle pareti. «Bah, qualcosa di idraulico». Giuliana da un colpetto, il tubo risuona vuoto. Camminano un po’ per la casa. Lui di cattivo umore, lei curiosa. «Senti, senti qui» dice, e fa avvicinare il marito a uno dei tubi. Un fischio, no, qualcosa di più melodioso. Il rumore del mare dentro una conchiglia. Ma più orchestrato. Una musica. Giuliana gli prende la mano e lo fa sedere sul divano accanto ai tubi: «Chiudi gli occhi». 
 
E così l’amico sbruffone finisce accoltellato tra lance e alabarde
 
Fuori il Borino sta salendo, in casa tutti i tubi iniziano a parlarsi e una musica rimbalza da una stanza all’altra. Crescendo e adagio, poi di nuovo crescendo alla raffica successiva, quasi un cantabile. Giuliana e Giorgio a occhi chiusi perdono il senso del tempo. La Bora si alza più forte: un concerto privato e loro si tengono per mano rapiti. D’improvviso un colpo secco copre la musica. La porta si spalanca. Giorgio balza in piedi, un braccio a proteggere la moglie, una mano sul fianco disarmato. Davanti a loro c’è un uomo alto, magrissimo, gli occhi stralunati e le labbra gonfie come respirasse a fatica. Bonora non fa tempo a registrarne il profilo che quello si è già avventato contro il tubo più vicino, afferrandolo con le mani scheletriche, cercando di strapparlo dalla parete a calci e spallate, con movimenti sconnessi.
 
Una raffica di pugnalate e la misera vita da prostituta di Katia finisce su un letto
 
Bonora ci impiega un minuto a capire di non essere lui l’oggetto di tanta furia. Con un cenno fa spostare Giuliana verso la porta e prova ad avvicinarsi all’uomo. Non deve spaventarlo, deve fare attenzione ai movimenti improvvisi come con gli animali o i bambini in preda a una crisi. La musica è ormai forte nella stanza, mescolata alle raffiche di Bora che entrano dalla porta spalancata e ai calci dell’uomo contro i tubi. Bonora aspetta il momento giusto e gli è addosso. Anche con qualche chilo di troppo il Capo ha ancora una presa d’acciaio. Immobilizza l’uomo senza difficoltà e quello, dopo qualche calcio al vento, gli si affloscia tra le braccia e scoppia a piangere. Bonora non si aspettava questa reazione. È Giuliana a prendere la situazione in pugno, si avvicina all’uomo, gli accarezza i capelli e quello dopo un po’ di calma. I singhiozzi si fanno più deboli. 
 
Quella tonaca non era per lui. Il castigo al frate banchiere che amava la bella vita
 
«L’avete sentito? » chiede guardandoli disperato. «L’avete sentito che casino? L’avete sentito?». Giorgio e Giuliana si guardano senza dire una parola. Giorgio, a ogni buon conto, non ha mollato la presa sulle spalle. 
«Come faccio? Come faccio?», continua. Poi un eccesso di singhiozzi. «Non riesco più a dormire né a vivere. Sono salito quassù apposta per il silenzio, per dare una tregua alle mie emicranie e poi arriva questo…» singhiozzo. «Ambasciatore eolico, si faceva chiamare. Era un pazzo che ha fatto uscire di testa anche me… Tutti i giorni e le notti, con il vento che quassù tira forte, partiva un concerto che neanche al Verdi». Ha smesso di piangere ma è percorso da scosse nervose che lo fanno sussultare, Bonora deve usare la forza per tenerlo in piedi. «Un ambasciatore eolico. Mi sputava addosso quelle parole ogni volta che venivo a lamentarmi, a chiedergli di far smettere questo baccano. E lui niente. Rideva. Mi rideva in faccia. Diceva che non si può fermare il vento che gioca. Ma prima che arrivasse lui e i suoi tubi la Bora non faceva tutto questo casino». «Per questo l’ha ammazzato?» chiede Bonora, come fosse una domanda normale. «Volevo solo che stesse zitto, come lui diceva di fare con il vento quando faceva troppo rumore. Me l’ha fatto vedere una volta. Prendeva il vento e lo chiudeva in barattolo. Vento nudo e crudo, diceva. E lo portava al museo. L’ho portato lì anch’io». —
 
L’inconfessabile colpa della signora Ada che diventa rimorso e ricatto
 

 

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